Esperienza reale Confessioni di una mogliettina parte1 e parte2

Ce-ci

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E’ da tanto tempo che chiedevo a mia moglie Francesca di raccontarmi alcune sue esperienze del passato, in particolare del periodo precedente al nostro metterci insieme, ma anche per alcuni fatti successivi.
Sulle cose del suo trascorso è sempre stata molto riservata ligia agli insegnamenti di sua madre, mia suocera: <<non dire mai nulla delle cose prima>>. Invece il non saperle mi fa morire di curiosità; posso immaginarmela ma sentirmelo dire da Francesca è sicuramente eccitante, così ho atteso il momento propizio per forzarla. L’occasione si è presentata ora che suo fratello, mio cognato, ha deciso di separarsi da sua moglie.
Francesca, istigata dai miei suoceri, mi ha chiesto di progettare e seguire i lavori per divedergli la casa per ricavare due soluzioni abitative distinte e indipendenti. So già che sarà un lavoro ingrato, non ci guadagnerò nulla, sarò in mezzo a due ex coniugi che credono di avere entrambi ragione, con tanta voglia di vendicarsi a vicenda senza alcuna voglia di agevolarmi. Data la sua insistenza ho accettato ma a patto che mi dica quello che voglio sapere. Sembrava sapesse già cosa le avrei chiesto, non ha fatto resistenza; mi ha detto che non mi rivelerà due episodi avvenuti prima del nostro fidanzamento. Credo sia giusto così, alcuni fatti se dolorosi devono rimanere nel limbo, meglio non condividerli.
Ho pensato a lungo cosa chiederle per iniziare, poi ho deciso. “ il primo moroso con cui ha iniziato”. Una mattina prima di uscire glie l’ho detto. Mi ha guardato, poi mi ha fatto uno dei suoi sorrisetti che tanto mi piacciono… Qualche sera dopo Francesca era deliziosa, dopo il lavoro si era cambiata: abito semplice, capelli lavati e luminosi; la luce nel colpirli veniva riflessa in tonalità ramate; in cucina canticchiava. Sembrava fosse tornata ragazza.
A cena mi dice: “dopo se ti va possiamo guardare le mie vecchie foto. Mi sono fatta dare l’album da mia mamma”.
Più tardi siamo sul divano, sul tavolino c’è il quaderno delle fotografie. Mentre la tv chiacchiera nel sottofondo lo prende, si appoggia a me ed inizia a mostrarmelo. Giocava a pallavolo, già lo sapevo. Alta per la sua età; più alta delle sue compagne. Il viso è il suo, un aria felice ed ingenua. Sembra un angelo. Mi soffermo sui particolari: Il seno è piccolo e schiacciato nel reggiseno sportivo; il sedere ancora acerbo è trattenuto dai pantaloncini che esaltano le fasce muscolari sviluppate dall’intensa attività sportiva. Braccia nervose, mani tese e dita lunghe e sottili immortalate nel tentativo di raggiungere una palla. Sento che l’avrei amata già da allora.
Attira la mia attenzione su una fotografia. Indica una coppietta e un ragazzetto. Insignificante per me. Capisco che è lui.
Poi inizia a parlare, piano, con calma, mi racconta.
Era verso la fine del liceo, forse maggio o inizio giugno. Dicevo a mamma che andavo in palestra per allenarmi ed invece andavo con loro (la coppietta e il ragazzo) al fiume. Dalle due alle cinque; tre ore di libertà. Arrivavamo con il motorino, lui mi portava dietro, indossavamo il costume fra i cespugli loro facevano il bagno, io no, mi bagnavo solo fino alle cosce. Mamma si sarebbe accorta dei capelli bagnati. Poi prendevamo il sole, noi due ci baciavamo a lungo; lui per gioco cercava di togliermi il fiato. Smettevamo per pochi secondi solo quando le labbra e la lingua erano intorpidite. Anche loro due si baciavano a lungo, ma prima di andare via andavano fra i cespugli 5 minuti. Anche il mio voleva portarmi, ma io sola con lui non ci sono mai andata. Mamma una volta è andata vicino a scoprirmi: Dopo una settimana una sera mi dice <<Come sei rossa in faccia. Hai preso il sole?>> Io pronta: << No è che in palestra fa caldo e ci alleniamo fuori! Anzi se mi dai qualche soldo ogni tanto vado in piscina invece che a pallavolo.>>
“Furbetta!!” commento io.
“Poi come è finita con questo?” Chiedo io
Francesca continua
Dopo circa un mese, finito il bagno giocavamo a carte e chi perdeva aveva la penitenza. Nessuno si impegnava a vincere…. La punizione era sempre la stessa, noi ragazze spostavamo il reggiseno e restavamo con le tette al vento, i ragazzi ci facevano vedere il loro “bastone”.
Francesca mi guarda. Ha gli occhi lucidi. La immagino con le tettine al vento, sono eccitato dall’idea. “Continua” la incalzo.
Tutti i giorni c’era anche un pensionato. Ci guardava restando fra gli alberi.
Poi abbassa la voce che si fa tremula << Una volta hanno mandato me senza reggiseno a cercargli una sigaretta. Avevo una vergogna immensa ma non volevo che mi prendessero in giro>>. Riprende: << Poi però non sono più voluta andare con loro al fiume>>. Sento che è il momento che le hanno fatto superare il limite.
Mi fa tanta tenerezza. Amo quella ragazza a seno scoperto e viso rosso davanti ad un vecchio. Amo questa donna che è appoggiata a me. Ora andiamo a letto ti devo coccolare e poi devo sognare una ragazza che sperimenta la vita.

Sono passati alcuni giorni. Come avevo previsto la divisione dell’immobile è facile tecnicamente è un delirio per i divorziandi; non accettano nemmeno di tentare la sorte per decidere quale porzione spetta. Inutile dire dei soldi, nemmeno l’ombra, anzi per ora sono a credito per i materiali (che hanno scelto) e per la mano d’opera; le spese per l’urbanistica le riceveranno ai loro indirizzi direttamente dall’amministrazione comunale.
Francesca capisce che sono nervoso per questa incombenza. E’ dolce si mostra disponibile. Io so che non devo chiederle della prima volta. Non è pronta per raccontarlo. Forse non sarà mai pronta.
Sabato mattina partiamo per andare a una fiera editoriale; porto lei per il suo lavoro. Il bimbo è da sua mamma; le suocere a questo servono. Un tragitto di due ore. In auto sento il suo profumo piacevolmente amaro: mi piace.
Vuoi sapere del mio primo fidanzato vero? Mi chiede a bruciapelo.
“Certo” rispondo guardandola. Il viso ha un filo di trucco; gli occhi sono valorizzati dalla matita nera e dal nocciola sulle sopracciglia intonato con gli iridi. Il lucidalabbra rende la bocca un confetto rosa. La camicetta è bianca immacolata, di taglio semplice con la giusta trasparenza per fare intravvedere il reggiseno di pizzo che valorizza le tettine (non sono cresciute molto in compenso i capezzoli sono diventati grandi e scuri come more mature). La gonna è blu intenso; seduta in auto le è salita ben oltre il ginocchio. Porta i collant in tinta con la camicetta molto trasparenti, vorrei fossero autoreggenti, oppure vorrei non avesse collant solo mutandine lì sotto. La desidero.
Parla adagio con voce ferma e chiara.
<<Come sai era Giulio. Lo incontriamo qualche volta quando andiamo in centro, mi saluta sempre per primo; ora si occupa di compravendita di macchinari agricoli, le cose gli vanno alla grande.>>
Si ferma un attimo come per raccogliere le idee.
Dico: “Certo che so chi è!”. Penso: “So anche che sta con una che ha metà dei suoi anni”.
Poi mi prende una fitta di gelosia meditando: “Come mai è così informata dei fatti suoi?”
Riprende: << Ero molto innamorata. Mi aiutava per il test di ammissione all’università. Lui ha un anno in più e piaceva tanto a mamma>>
Infatti ragiono: ”la vecchia non poteva certo starne fuori”. Per fortuna mi trattengo e non lo dico.
<< Veniva tutte le mattine ripassavamo insieme. Mamma lo teneva a pranzo da noi. Nel pomeriggio facevamo la simulazione del test e poi la correzione….>>
Una pausa lunga. Forse sta tornando con il pensiero a quei tempi. Non voglio forzarla a parlare sono sicuro che se lo facessi modificherei il suo modo di dirmi i fatti. Guido attento alla strada, ogni tanto la studio con la coda dell’occhio.
Preso il tempo che le serve, sapendo di avere ancora la mia attenzione riprende: <<Io credevo di amarlo. Anche lui mi amava, o almeno mi amava a modo suo. Aveva grandi progetti>>
La guardo perplesso per farla continuare. <<Mi parlava di andare in Australia a allevare struzzi o a coltivare le mele. Altre volte voleva allevare pecore in Irlanda. Spesso mi raccontava dei laghi del Canada dove i pesci si prendono con le mani ed in un mese si guadagna per vivere per gli altri undici mesi esplorando il vasto territorio.>>
Mi guarda come svegliandosi da un sonno profondo. << Erano sogni, e mi piaceva sognare con lui.>>
<<Poi improvvisamente pochi giorni prima del test mi sono accorta di non amarlo più. Io non c’ero nei suoi progetti, anzi mi rendevo conto che non c’ero mai stata. Avevo realizzato che non aveva progetti né per me né per lui. Aveva solo fantasticato.>>
Mi fermo per un caffè. Scendiamo, mentre raggiungiamo il bar autostradale gli sguardi che ci seguono mi confermano che molti mi invidiano. Sono un po’ deluso del modo in cui ha incanalato il racconto, non ho saputo quello che volevo. Francesca sa che voglio sapere altro, ma non me lo dirà se non glielo chiedo. Risalendo in auto chiedo: “E sesso?”
Prende tempo. Si accomoda sul sedile e perde tempo con la cintura di sicurezza. Si strofina una sopracciglia specchiandosi, ma è assolutamente chiaro che non aveva bisogno di sistemarla.
<<Voleva che indossassi sempre la gonna. Finito la prova del test mi sfilava le mutandine e dovevo mettermi in modo che lui la vedesse. Gli piaceva guardarmela. Stava in contemplazione per tutto il tempo restante. Con il senso di oggi direi che era un ammiratore più che un fidanzato. Gli facevo tanti spogliarelli imitando le attrici che mi faceva vedere nei filmati. Lui diventava matto; anche a me all’inizio intrigava. >>
Penso: hai capito la mia troietta!
Mi guarda, vede la mia faccia un po’ delusa e prosegue:<< Quando uscivo con lui mi chiedeva sempre di non indossare l’intimo e se potevo lo accontentavo. Nei mesi in cui sono stata con lui mi avrà masturbata una decina di volte e mi avrà leccato la patata cinque o sei volte e io gli avrò reso altrettanti pom***ni, ma non sono mai stata veramente appagata>>.
“E Basta??” Chiedo. Mi sembra veramente impossibile… Non risponde più siamo quasi al casello. Credo che sia tutto.
Inaspettatamente riprende:<< Veramente…. >> Ho un attimo di sospensione. << Mentre stavo con lui siamo stati invitati ad una festa, forse carnevale o una laurea, in un appartamento a Firenze; Non so chi ci avesse invitato, c’erano 20 o 25 persone quasi tutti maschi, forse altre 3 o 4 donne oltre a me. Ero con la gonna plissettata e corpetto senza spalline naturalmente aveva voluto che non indossassi intimo. Avevamo mangiato e bevuto un frizzantino fresco. Ero briosa, ballavo e tutti mi volevano far ballare. Qualcuno mi palpeggiava il seno o il sedere, ma era una festa e non andavano oltre il consentito; diciamo che, complice il vino mi sentivo leggera ed ero eccitata. Prima di mezzanotte tutta la compagnia si trasferisce sotto nella contrada con le girandole luminose e i botti mi invitano ad andare con loro. Rifiuto me non va di andare al freddo, devo digerire e riposarmi; li guardo da dietro il vetro della portafinestra del balcone. Sono tutti in strada o almeno credo. Dentro c’è un bel tepore, e la luce tenue, proviene dai lampioni fuori e altra riverbera dalla stanza accanto, la musica ora proviene solo dall’appartamento sottostante. Sento una persona alle mie spalle, penso sia Giulio. Mi rilasso. Da dietro mi prende i seni nelle sue mani, mi bacia fra la spalla e il collo sento il suo respiro tiepido sulla pelle. Qualcosa non va, non riconosco i modi e il tocco del mio fidanzato, le mani non sono le sue, ma mi piace. Non mi muovo, sono piacevolmente paralizzata, lo lascio fare. E’ un attimo, ha abbassato il top, stringe fra le sue mani i miei seni, sento il suo alito tiepido sulla pelle fra le scapole e poi sulle guance, sa di sangria e di pesca. Ho i brividi. Nel movimento delle mani imprigiona i capezzoli fra le dita torturandoli; è un dolore dolce che mi scioglie dentro si irradia in tutto il corpo. Non riesco a pensare, sono completamente priva di volere. Mi gira, ora la gonna è alzata, sono spinta contro la parete, la mia bocca è sua; mi prende così, scivola dolcemente, poi entra prepotente. Sono aggrappata a lui, mi inchioda con la schiena alla parete, ci muoviamo insieme come colti da spasimi. Lo sento irrigidirsi e poi mi esplode dentro un fiume caldo. Adesso è dolce i movimenti sono più morbidi e continua a baciarmi deliziosamente>> Lo ha detto tutto d’un fiato. La voce è rimasta chiara, solo alla fine si è incrinata.
Passo il casello, fermo la macchina. Sento il bisogno di confermarle il mio attaccamento; Le do un bacio in mezzo alla fronte, è il mio ringraziamento per avere condiviso la sua storia. Lei capisce e appoggia la sua mano sul mio braccio. Ha gli occhi lucidi. Posso solo intuire il perché.
<<Faremo tardi>> mi dice. Poi aggiunge:<< guarda che poi ho passato 18 giorni d’inferno. Ho temuto di essere incinta senza sapere nemmeno il nome, per non parlare del resto>> Riavvio l’auto, seguo il navigatore. Ho aggiunto un’altra tessera al puzzle.
 
hai fatto bene a aprire un thread apposta!!!
meritano molto le storie di tua moglie :)
grazie!!!
 
Ma nn farci stare con l ansia continua
Devo aspettare i tempi di Francesca, non é facile per lei. Poi avvicinandosi nel tempo le esperienze toccano anche me. D'accordo che lei é già una che racconta a meraviglia, ma poi tocca a me scrivere per postarle contestualizzando per cercare di rendere anche a chi legge gli stati d'animo e le emozioni.
Un caro saluto
 
Riepilogo: Francesca, obbligata dal bisogno che sistemi l’immobile del fratello cede alla mia curiosità, ha iniziato a raccontare alcune esperienze di cui fino ad ora non aveva mai voluto parlare. Ha narrato del suo primo Morosino che, di nascosto di sua mamma, ogni pomeriggio la portava a fare il bagno al fiume dove pomiciavano e si faceva guardare nuda da un pensionato. Poi ha chiarito i particolari della relazione con Guido il primo fidanzato ufficiale. Proprio mentre rimanevo deluso del fatto che sessualmente erano scarsamente attivi, mi rileva che ad una festa a cui hanno partecipato insieme ha subito e apprezzato un rapporto completo con uno sconosciuto.

La fiera dell’editoria è grande, con molti espositori e tanta gente. La accompagno allo Stand dove è attesa. La luce intensa si riflette sui volumi esposti; riproducono opere d’arte, principalmente dipinti. L’aria è satura dell’odore della carta e dell’inchiostro. Nonostante questo l’ambiente è gradevole. Il responsabile delle vendite le tende la mano stringendola in segno di saluto; noto che gliela stringe trattenendola un attimo in più del normale, la presenta poi a un collaboratore più giovane, la scena si ripete, ma ora è lei che mantiene la sua mano in quella di lui per una frazione di tempo in più. Dai particolari si capisce che ora é molto diversa dalla ragazza che si faceva portare al fiume di nascosto della mamma. Mi rendo conto che ora è una donna e di come sia labile il confine fra preda e cacciatore; Francesca non è una preda. Scompaiono tutti nell’ufficio dietro una parete mobile. Sento le loro voci fra il brusio dei visitatori. Inutile cercare di intuire; saranno covenevoli amichevoli esteriori ed una guerra sotterranea di carattere artistico o più facilmente economico. Lei è impegnata, io sono libero di visitare la fiera; ho del tempo da ammazzare. Passeggio senza fretta fra i banchi degli espositori.
Vengo attratto dal padiglione di una casa editrice che cura la pubblicazione di fumetti erotici. Sono incuriosito dalle gigantografie e mi dilungo nell'osservazione delle curve delle signorine che ammiccano ai visitatori.
Passo del tempo sfogliando pagine con disegni maliziosi, in qualche figura sembra di riconoscere Francesca, come se lei avesse posato per l'artista; la fantasia mi fa strani scherzi, o magari sono i miei desideri che me la fanno vedere rittratta in questi disegni.
Pochi minuti prima dell’una ci ritroviamo, ha rinunciato all’invito a pranzo con i rappresentanti, la porto io a mangiare. La ascolto con interesse mentre illustra la trattativa, le mosse e le contromosse; la seguo attento fino alla conclusione dell'accordo. E’ radiosa, ha ottenuto quello che voleva al prezzo che aveva preventivato più un volume omaggio per lei e uno per la biblioteca. La sento tenace, decisa, consapevole e combattiva. Ora ho deciso cosa voglio mi racconti; voglio appagare la mia curiosità in una nuova direzione: alla festa il rapporto lo ha accettato trovandosi coinvolta quasi per caso, ora le chiederò di raccontarmi di una volta in cui lei lo ha cercato e voluto fare sesso.

Sono passati alcuni giorni da quando ho comunicato a Francesca l’argomento della prossima confessione.
Questa sera ha preparato la cena in cucina. Di solito qui si consuma solo la colazione; capisco che come sempre è difficile per lei parlare di questi argomenti con me; ha scelto di farlo qui, seduti sulle seggiole, al tavolo uno di fronte all'altro, con le giuste distanze; sarebbe più complicato parlarmi di questi argomenti in un altro contesto. Per conversare mentre mette in tavola, la informo che i lavori all’immobile del fratello sono finiti, hanno voluto qualche miglioria, nulla di particolare; lui non ha parlato di denaro, lei, la sua ex, ha fatto pervenire un bonifico da parte di una persona che non conosco, deve essere il nuovo amico. Glielo dico per stuzzicarla, ma lei da signora non commenta.
Mentre mangiamo mi ricorda di tre anni fa.

Francesca ha iniziato a lavorare, si è traferita in un bilocale ammobiliato nella mia città; è stata assegnata ad un istituto per i corsi di storia dell’arte. Conosce Lena, ha qualche anno in più, a lei è affidato l’insegnamento di lingua; riconoscendosi vicendevolmente la competenza nel proprio ambito lavorativo collaborano volentieri.
Tramite la scuola e con alcune conoscenze ottengono l’incarico per la stesura di una serie di articoli da pubblicare come inserto monografico in una prestigiosa rivista di arte; Francesca cura la parte artistica e Lena la corretta forma espositiva e l’impaginazione. Per acquisire credito e qualche soldo extra si dedicano al lavoro con passione. Ci eravamo già conosciuti ma non ci frequentavamo; io non le avevo suscitato nessun interesse e nemmeno lei mi aveva attratto in modo particolare. Erano mesi difficili per me, uno dei soci della nostra attività appena iniziata aveva voluto la propria spettanza e ci aveva lasciato portandosi via alcuni clienti e lasciando qualche fattura non pagata a carico nostro. Di conseguenza ero a corto di liquidità e con più di un problema a cui far fronte.
Inizia a raccontarmi:
<<Incominciammo a lavorare in sala insegnanti o in biblioteca a seconda di dove c’era disponibilità. Subito ci siamo accorte che non era un lavoro facile; i soldi che ci davano non erano facili, avremmo dovuto guadagnarceli con fatica. Dopo due mesi avevamo scritto solo il primo inserto, ne mancavano undici; certo era stata scelta la linea di pensiero e di critica, era stato deciso il carattere, la spaziatura e l’inserimento delle figure, ma i successivi capitoli erano da scrivere. Per comodità nostra, su insistenza di Lena, ci siamo trasferite a lavorare a casa sua; certo non potevamo andare nel mio bilocale che era piccolo e lontano dalla scuola.
Li eravamo sistemate bene, finite le lezioni, se non c’erano impegni mangiavamo nella mensa scolastica e poi ci andavamo, mi trattenevo fino alle 19. Ci sistemavamo nello studio o qualche volta in sala, era tranquillo. Suo marito, assistente tecnico in clinica, lavorava su turni, o non c’era o rientrava verso le 15 e non mi accorgevo nemmeno che ci fosse.
Il lavoro ora procedeva spedito, noi eravamo più rilassate e meno ansiose considerando che lavorando a casa in tre mesi avevamo completato otto inserti. Ci prendevamo spesso piccole pause, il caffé alle quattro, spesso portavo i biscottini secchi e ci facevamo il tè alle cinque e mezza. Per il tè si univa a noi, quando c’era, anche Alberto il marito di Lena. Ha circa una quindicina d’anni più di me. Guardando le foto sparse per casa vedo che Lena si è ammorbidita con l’età, mentre Alberto non si è per nulla appesantito. Qualche inizio di grigio nei capelli lo rendono stimolante e ne acuiscono l’interesse; Mi dava una impressione di saggezza, mi ispirava protezione. All’inizio prendeva il tè con noi restando quasi in disparte come per non disturbarci, poi man mano si è fatto intraprendente partecipando in modo attento e intelligente alla nostra conversazione. Parlavamo principalmente di correnti artistiche, ma, nonostante non fosse il suo campo interveniva in modo appropriato e molto garbato.
Un giorno stavamo prendendo il tè in salotto sul divano noi signore e sulla poltrona lui. Le tazze e la zuccheriera stavano sul tavolinetto basso di cristallo posizionato nel mezzo. Portavo una polo e una gonna neanche corta di cotone lavato, insomma nulla che potesse attirare attenzione. Invece mi accorgo che mentre parliamo mi guarda; mi guarda con quel modo di interesse fisico. Controllo che nel sedermi la gonna non sia salita, verifico che la maglietta sia in ordine. OK, a posto. Sarà stata una mia impressione, penso. Poso la tazza sul vassoio mi risiedo e seguendo il suo sguardo vedo che insegue le mie ginocchia (o più in su). Intuisco nei suoi occhi il desiderio. Sono lusingata. Non mi aspettavo un apprezzamento così platealmente sessuale da un uomo che considero posato e saggio. Sono a disagio. Sono piacevolmente a disagio. Sono sorpresa vorrei forse farglielo sapere, non so come fare perciò faccio nulla.
Torniamo a lavorare, sono distratta. Ora non combino più nulla, voglio tornare a casa mia.
A casa mi faccio la doccia, mangio. Continuo a essere distratta. Mi sento sulla pelle il suo sguardo. Guardo un po’ di tv, ma sono assente. Decido di andare a letto. Non mi addormento. Penso al suo sguardo di desiderio, non mi esce dalla mente. Lo slip mi dà fastidio, mi stringe; devo toglierlo. Mi trovo a sussurrare il suo nome: Alberto. Suona bene Alberto; lo trovo sensuale sussurrato dalle mie labbra e udito dalle mie orecchie. Le mani si muovono da sole, accarezzano il seno e poi ingorde scendono giù. Stanno lì a lungo, immagino siano le sue mani che mi accarezzano; poi mi lasciano esausta, mi abbandono al sonno.>>
Francesca si interrompe, si è alzata, prepara il caffè. Sparecchia la tavola. Mette le cose nel frigorifero, carica la lavastoviglie. So che doveva ifermarsi, devo concederle i giusti tempi per sistemare le sue emozioni e studiare le mie reazioni prima di proseguire.
<<Dopo quella volta andare a casa di Lena è stato diverso.
Desideravo che Alberto ci fosse, speravo ci avrebbe fatto compagnia. Volevo ci fosse, sognavo mi guardasse. Poi pentita dei miei pensieri volevo fosse al lavoro, auspicavo che non lo avrei più rivisto. Mi dicevo: “io non sono una rubamariti”.
La mia testa però era di parere diverso e lavorava. Pensavo a quale vestito mettermi. A come mi avrebbe vista; come mi avrebbe guardata, a cosa dovevo dire o fare.
Avevo comprato dei completino intimi carini a caso. In fondo non sapevo che gusti aveva. Pizzo? Trasparenze? Colorati? Spiritosi?Bho!
Lo volevo, questo diceva il mio corpo e la mente combatteva per resistere, ma senza troppa convinzione; spesso si alleava con il corpo.
Mi giustificavo e mi assolvevo dicendo: “non lo rubo. Un prestito per un paio di volte. Poi lo rendo intatto, come prima”.
Si, lo volevo, la guerra fra corpo e mente era solo un pretesto per acquietare la coscienza.
Con un sotterfugio ero riuscita ad entrare in camera loro a tirare qualche cassetto. Lena aveva tanto intimo coordinati di cotone, colori pastello, normali, dozzinali; poi a parte erano riposte, sistemate nelle scatole le cose in pizzo.
Ora, per andare a casa da Lena, mettevo i miei coordinati in pizzo trasparente. Se capitava mi sarei fatta vedere generosamente (nel limite della decenza). Il primo passo doveva farlo Alberto, ma io lo volevo. Lo avrei istigato, ma lui doveva muoversi per primo.
Un pomeriggio c’eravamo tutti e tre. Alla pausa del tè eravamo ai nostri posti. Avevo camicetta bianca e gonna blù in tessuto elasticizzato. Mi alzo per servire io. Porgo la zuccheriera a Lena e faccio in modo che possa vedermi il sedere e possa intuire attraverso i segni della gonna le mutandine che indosso; mi siedo e sbadatamente faccio risalire la gonna e allargo un pochino le ginocchia. So che guarderà. Lo guardo con la coda dell’occhio mentre parlo a Lena. Si, ha guardato. Vedo che ha reagito, alla sua reazione anche io mi sono eccitata, un punto a mio favore.
Alberto per fuggire al mio sguardo aiuta la moglie a portare il vassoio con le tazze nel lavello. Spariscono insieme nella stanza, oltre la porta a vetro smerigliato. Lena dalla cucina mi dice di proseguire il lavoro da sola, lei arriva subito, “dice”.
Dalla porta socchiusa arrivano rumori. Credo di capire. Mi sposto per cercare di vedere attraverso il vetro colorato e opaco. Percepisco dalle ombre che Lena è appoggiata con il sedere sulla base dei mobili stanno facendo l’amore. Dovevo esserci io al suo posto e comunque sono sicura che Alberto sta facendo l’amore con me. Sono delusa e offesa. Ma d’altronde che altro potevo aspettarmi?>>
Francesca si interrompe, sempre sul più bello e sapientemente. Cerca una scusa perché io possa rassicurarla e incitarla a proseguire.
Le chiedo: “e poi lo hai avuto?”
<<Successivamente Lena mi ha invitata a mangiare da loro con una frase ambigua, non so se voluta oppure casuale: “vieni a cena da noi venerdì prossimo che Alberto “ci cucina”?
Io quel -ci cucina-l’ho interpretato e continuo a pensare sia stato un invito ad una cosa a tre; non saprei da chi dei due fosse partita la richiesta, suppongo da lui. Comunque in quella fase di infatuazione non ero disponibile a dividere Alberto con la moglie. Per avere ancora speranze, alla cena dovevo andarci e ci sono andata pronta a rifiutare qualsiasi proposta. Proposte non ne ho avute o forse non ho dato appigli e tutto è filato liscio come volevo>>
“ Quindi?“ Dico.
<< I capitoli si stavano completando. Avevo concordato un incontro con gli editori per decidere le copertine, i titoli e l’ordine degli autori, io volevo che il mio nome fosse il primo, ritengo di avere dato di più; nell’occasione avremmo richiesto il pagamento completo prima della consegna degli ultimi inserti. Il giorno stabilito ci saremmo viste a scuola per poi finire di prepararci da Lena ed andare all’incontro insieme. Per fare bella impressione sul delegato contabile, che doveva scucire i nostri denari,avevamo concordato di vestirci in modo elegante pur senza abbandonare la giusta sobrietà. Avevo fatto qualche lampada per prendere un colorito meno cadaverico ed avevo acquistato un nuovo tailleur grigio topo con una righina nel tessuto per alleggerirlo dall’impressione di esagerata serietà. La parte superiore classica si abbinava alla camicia in tessuto leggero semilucido e alla gonna leggermente a palloncino per sfumare la spigolosità dei miei fianchi, uno spacco non profondo ma intrigante conferiva una nota di frivolezza femminile rimanendo in ogni caso nella classicità dell’abito; completava l’abbigliamento la cintura, le scarpe e la borsa coordinati in tinta. Avevo deciso di mettermi un completino intimo in raso bianco traforato che bene faceva risaltare il mio nuovo incarnato da abbronzatura; non avrei indossato collant, avrei reso la pelle liscia e doveva risaltare la grana delicata che naturalmente possiedo. A casa di Lena avrei completato con poco trucco per dare profondità agli occhi e ombretto dai colori tenui sbiaditi, molto delicati; orecchini in argento lunghi e sottili per esaltare la lunghezza del collo e una catenina con ciondolini, avrebbero completato l’opera.
Dopo pranzo ci stavamo preparando per andare, ero praticamente pronta. Lontano un temporale brontolava promettendo maltempo. Mi sono seduta sul divano mentre Lena finiva di prepararsi. Quando è arrivata le ho detto: “scusa ma credo di avere la pressione bassa, ho dei capogiri non riesco ad accompagnarti, vado a casa”. Era sorpresa e leggermente preoccupata per me, ma decisa a sfruttare l’occasione: da tempo accarezzava infatti l’idea di andare sola per mettere il suo nome davanti al mio. Con premura mi ha preparato una tazza di tisana lenitiva imputando il mio finto malessere al cibo di scarsa qualità della mensa o agli ormoni per l’inizio del ciclo. Mi sono ben guardata dal dirle che per la tensione in mensa non avevo mangiato quasi nulla e le mestruazioni erano ben lontane; mi faceva comodo farle credere che avesse indovinato le ragioni della mia indisposizione. Mi proibì di tornare a casa dove sarei stata sola e telefonò ad Alberto.
Rimaneva lei fino all’arrivo imminente del marito.
Lui era visibilmente preoccupato, non sapeva che fare. Cercai di rassicurare sulle mie condizioni, di minimizzare e di insistere, debolmente, per tornare a casa mia. Lena fu irremovibile. Lasciando le istruzioni al marito per preparare una limonata uscì affidandomi a lui. Mi assicurò che sarebbe tornata appena concluso l’incontro.
Eravamo imbarazzati ora che la porta di ingresso era chiusa alle spalle di Lena. Non potevo certo dire che avevo finto, dovevo continuare la commedia e poi fingere di riprendermi in fretta.
Gli ho chiesto di farmi la bevanda calda, me l’ha portata fumante in una scodella. Ho tolto la giacca del tailleur restando in camicia. Ha portato due cuscini, si è seduto a terra vicino al divano e a me. Ho sorseggiato la limonata tenendo la scodella con le due mani. Mi ha fatto sdraiare mettendomi un cuscino sotto la testa e uno sotto i piedi. Cominciava a piacermi farmi coccolare da ammalata. Di sua iniziativa mi ha levato le scarpe. <Massaggiami i piedi che aiuta la circolazione> l’ho pregato con voce piagnucolosa. Ha ubbidito mettendosi seduto sul divano ai miei piedi; aveva le mani calde e delicate, il suo tocco era gradevole. Ho chiuso gli occhi godendomi le sensazioni del contatto. Non ho fatto nulla per sottrarmi al suo sguardo, se voleva, ed ero sicura che lo voleva, poteva vedermi sotto la gonna. Sono stata una decina di minuti con gli occhi chiusi, sentivo le guance farsi calde, di sicuro ero rossa in viso, non volevo smettesse, ero rilassata. Accarezzava dolcemente tenendosi i miei piedi in grembo, non si decideva; allora con le palpebre chiuse ho preso il coraggio e con un filo di voce ho detto: “la cintura mi stringe….“ Ho aperto la fibia, mi sono girata sul fianco, ho cercato il bottone dietro, ho abbassato la cerniera. Aprendo gli occhi ho tolto i piedi, li ho posati a terra. Ho visto come mi guardava, imbambolato, sorpreso. < Sto bene, adesso> dissi mettendomi alzandomi. La gonna obbedì ai miei desideri interiori afflosciandosi alle caviglie. Con aria pudica ho tirato in basso i lembi della camicia ben sapendo che non riuscivano a coprirmi se non minimamente. Questo gesto deve averlo stuzzicato, si è alzato e quando è stato vicino al viso mi ha baciata; dapprima piano poi con irruenza come un fiume che lambisce gli argini e successivamente li supera. Un bacio lungo e appassionato, desiderato da lui e sospirato da me. Preso da una urgenza non più dilazionabile prese ad accarezzarmi il seno ed il sedere. Era quello che avevo sognato quando la sera andavo a letto. Mi chiese se poteva… gli risposi accennando di si con il capo. Mi spinse dolcemente contro lo schienale del divano lo aiutai a liberarsi dei pantaloni. In quanto a me, ero pronta. Si appoggiò piano a me mentre la lingua mi esplorava nuovamente la bocca. Aspetta riuscii a farfugliare. Presi dalla borsetta appoggiata sul tavolino la scatola, tolsi la busta, la aprii con le unghie, mi abbassai per prendendolo nelle mani, era caldo e pulsante come dotato di vita propria gli infilai la guaina. Mi riappoggiai al divano tirandolo verso di me. Mi prese spostando lievemente le mutandine, e io lo accolsi attorcigliandomi con le gambe a lui. Il suo sesso si adattò combaciando perfettamente alla mia fisiologia raggiungendo i punti più sensibili. Eravamo molto eccitati, in breve avevamo fatto. Troppo breve per la voglia che ci covava dentro da troppo tempo. Ero sudata, pure Alberto lo era. Mi tolsi la camicetta e il reggiseno, rimasi in mutandine. Era strano trovarsi lì praticamente nuda a casa d’altri. Per non sentirmi nuda solo io, lo spogliai completamente lasciando i vestiti sparsi in salotto. Lo presi per mano lo portai in bagno, aprii l’acqua, la regolai, lo spinsi sotto la doccia e tolte le mutandine lo seguii sotto. Ci lavammo a vicenda esplorando il corpo dell’altro. Mi asciugai indossando il suo accappatoio e poi glielo passai perché anche lui ripetesse l’operazione. Rimisi le mutandine. Lo attesi seduta sul bordo della vasca. Ora fuori il temporale si abbatteva sulla città con fulmini e tuoni. Pioveva forte. Alberto mi asciugò i capelli con il phon. Poi senza una parola mi prese in braccio come si fa con le spose la prima notte, mi portò fino al lettone e mi adagiò sopra. Ora l’urgenza era sedata, era più dolce e appassionato. Lo facemmo con calma dandoci piacere,l’ ho avuto e gustato a mio piacimento, mi ha amata come desiderava.

La luce era tornata intensa ed il temporale passato. Ci rivestimmo recuperando i vestiti sparsi in giro, parlando della magnificenza del nudo nell’arte, ma sottintendendo la bellezza del possedersi. La casa sapeva dell’odore del sudore e dell’effluvio muschiato del seme e del sesso.
Fra poco Lena sarebbe tornata.
In cucina versai del fernet nel pentolino usato per la limonata e lo portai ad ebollizione. Poi lo versai nel lavandino. Ora la casa sapeva dell’amaro di erbe e di spezie.
Chiesi ad Alberto di scusarmi con Lena, l’avrei chiamata più tardi per sapere del colloquio. Sono andata via prima che Lena rincasasse, me ne tornai nel mio bilocale. Ero soddisfatta, pensavo fra me: L’ho avuto mentre mi appoggiava allo schienale della poltrona. L’ho riavuto sul copriletto nella loro camera. Ho soddisfatto il mio capriccio.>>

<<Mi ha cercata a lungo, ma io le mie due volte le avevo avute e non ho più accettato di rivederlo. Non sono una -rubamariti->>
Mi porge il libro che conosco è in sala sul mobile da sempre, fa bella mostra di sé. E’ rilegato, con la copertina di pelle. I caratteri e i disegni sono incarnati e dipinti con oro zecchino.
Il titolo è Gian Lorenzo Bernini** * il nome degli autori, sotto, per secondo, è il suo. Passa i polpastrelli delle dita sulla pelle e sui caratteri dorati.
Si alza dalla sedia, si mette dietro appoggiando le mani sulle mie spalle.
<<E’ un regalo di Alberto, ci sono solo due sole copie una per me e una per Lena. Ora andiamo a letto.>>.
 
Dici che le devo ripostare riunendo le parti....
Devo anche cambiare il titolo!
Va bene, se avrò tempo lo farò.
Grazie ciao.
 
Caspita, pur di soddisfare un desiderio sessuale, è stata diposta a comparire per seconda nella pubblicazione del libro...
Comunque ora capisco come mai mancava la seconda parte, con tutti sti particolari non si può scrivere in fretta, complimenti!
 
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