lucianolac
"Level 5"
- Messaggi
- 1,022
- Punteggio reazione
- 1,297
- Punti
- 119
Complimenti, veramente ben scritto!
Follow along with the video below to see how to install our site as a web app on your home screen.
Note: This feature may not be available in some browsers.
Ricordo che chi non ha ancora accesso al nostro gruppo telegram di Phica, basterà iscriversi al nostro => Onlyfans
molto ben scritto bravoAncora sembrava una cosa surreale, ero praticamente immerso nelle sue belle chiappone con figa e buco del culo a mia completa disposizione.
Il tempo comunque era tiranno e più ne passava più correvamo il rischio che qualcuno bussasse alla porta del nostro ufficio e non trovandoci ci venisse a cercare, magari nel retro, quindi… lo feci e basta.
Immersi il medio della mano destra dentro la sua vagina spalancata e lo lubrificai per bene, poi lo tolsi e lentamente lo feci strisciare fino al buchino, usando quel lubrificante naturale mescolato ad abbondante saliva per agevolarmi nell’ingresso.
E funzionò, perché il dito entrò quasi senza sforzo per i primi due o tre centimetri, e lo fece a fatica per i successivi perché Alessia stringeva così tanto i muscoli che non mi permetteva di passare.
Usai tutta la pazienza di questo mondo ma non ci fu nulla da fare, ci giocai ancora ma Alessia cominciò a diventare insofferente per via della posizione scomoda, e allora decisi che poteva bastare così.
“Ma… sicuro?” mi chiese per nulla convinta, desiderosa che ci riprovassi.
“Sì, dai, è meglio così…” le dissi tirandomi su e aiutando lei a mettersi seduta sul tavolo, con le gambe a penzoloni, “è meglio che usciamo di qui, lo so che non ti senti sicura…”
‘testa di cazzo… almeno diglielo, ammettilo che sei tu che te la fai sotto… e non dare la colpa a lei, coniglio!’
“Ok…” rispose quasi rassegnata, e saltando giù dal tavolo ricominciò a rivestirsi rimettendo via le sue grazie e lanciandomi di tanto in tanto delle occhiatine interrogative.
‘hai visto? visto come ti guarda? lo sai cosa pensa di te? che sei uno senza palle, sei un coniglio senza palle! uno che non è capace di prenderla e di scoparla come si deve, come lei si aspetta!’
“Sei… delusa?” le chiesi, facendola girare di scatto.
“No…” rispose subito, “no, non sono… delusa” rispose, forse dopo averci ripensato ed aver ammesso almeno a sé stessa che sì, in realtà lo era.
“Solo pensavo che… che volessi…” cominciò a dire, ma poi si fermò.
“Lo volevo” la anticipai, “lo volevo eccome…”
“Io… guarda che…” provò a dire ma la fermai, posandole un dito sulle labbra, dolcemente.
Era il primo gesto “amorevole” che facevo verso di lei da quando avevamo cominciato tutto, e infatti non dico che non la prese bene ma sembrò… infastidita da quella smanceria.
Quella di non cedere alle effusioni non era un accordo preso, era solo una constatazione di cose, ci eravamo scambiati confessioni e fluidi corporei ma nemmeno un bacetto: quella relazione che avevamo intrapreso doveva essere solo sesso e nient’altro che sesso, ci dovevamo considerare il giocattolo sessuale dell’altro e non un surrogato del partner.
Certo, per lei era molto più difficile, lei un partner già ce l’aveva e sicuramente non l’avrebbe scambiato con me (come gli spot di tanti anni fa dei fustini di detersivo): anche se da qullo che avevo intuito era un partner che evidentemente non la appagava carnalmente, e forse proprio per questo Alessia si era aperta verso me, che al contrario non avevo mai dimostrato mire “amorose”.
Eppure…
Eppure avrei dato tutto quello che avevo di più caro per vivere la vita con lei…
Certo, erano passati gli anni da quando ci eravamo conosciuti e le persone che nel frattempo erano arrivate nelle nostre rispettive vite (e se n’erano andate) avevano lasciato cicatrici e strascichi difficili da dimenticare, ma Alessia la vedevo ancora come tanti e tanti anni fa, quando era in grado di cambiarmi la giornata con un sorriso.
Addormentarmi insieme a lei… svegliarmi insieme a lei giorno dopo giorno, fare l’amore con lei e non… prenderla e usarla.
“Stiamo sfidando la sorte…” le sussurrai.
‘sfidando la sorte? ah ah ah ah ah ah ah… non farmi venire da ridere!’
“Sì, hai ragione” rispose, non del tutto sicura di quel che aveva detto, poi sorrise e mi precedette nel nostro ufficio, lasciato incustodito per sopravvenute… urgenze.
Riaprii la porta e controllai eventuali messaggi o email urgenti, poi mi venne in mente la scatola dei documenti.
“Ale, puoi pensarci tu ai documenti da mettere sul tavolo?” le chiesi mentre stava per sedersi alla sua postazione, e ovviamente disse sì, e mentre eravamo di là per distribuire stampati e opuscoli su ogni posto a sedere la porta principale si aprì facendoci voltare di scatto.
“Oh, buonasera…” ci salutò niente di meno che il presidente in persona, “bravi, preparate per l’incontro di domani?”
Riuscimmo solo a rispondere all’unisono con un “buonasera…” e a guardarci negli occhi.
C’eravamo andati molto, ma molto vicini.
“C’è un odore strano qui dentro” ci disse l'anziano fiutando l’aria come un cane da tartufo, e ancora una volta Alessia ed io ci scambiammo un’occhiata a metà tra il preoccupato e il divertito.
“Sembra… odore di… cucina…” concluse, alzò le spalle, ci salutò distrattamente e se ne andò nello stesso modo in cui era arrivato, spalancando le porte come se fosse a casa sua (perché lo era…).
Tornati alle nostre scrivanie non ne parlammo, ma l’improvvisata ci fece riflettere e per il resto della giornata ci limitammo a lavorare e a parlare di lavoro senza altre… divagazioni, ma quando arrivò l’ora di andarcene allora mi potei permettere una battutina.
“Lo sapevi che odori di cucina?” le dissi, serio.
Mi guardò senza aver capito subito, un istante dopo realizzò e scoppiò a ridere, abbracciandomi e facendomi sentire ancora una volta le tettone schiacciate sul mio petto.
“Secondo te… ha capito?” mi chiese, dubbiosa.
“No, non credo proprio…” risposi, ma non ne ero sicuro.
Restammo a guardarci troppo vicini, così ci separammo ma Alessia allungò la mano e me la prese intrecciando le dita con le mie.
“Che ragazza dolce che sei…” le sussurrai, alludendo alla mano, e lei non negò, sorrise e abbassò lo sguardo.
“Non dire queste cose” mi sgridò, “lo sai che non voglio… non è giusto…”
‘ovvio, te la scopi e la lecchi dappertutto ma non puoi dirle che è una ragazza dolce!’
“Devo andare” disse improvvisamente sciogliendo l’intreccio di dita e allontanandosi da me, poi si fermò, esitò se dire qualcosa e poi prese la porta e uscì.
Sospirai e tornai a sedermi, cominciai tutte le operazioni di chiusura, inverse a quelle del mattino, e prima di alzarmi presi il telefono.
E aprii whatsapp.
E guardai le foto che mi aveva mandato, le ingrandii una per una, le chiusi e poi le riaprii perché c’era un piccolo particolare che non avevo visto bene, e quando arrivai alla prima, quella in cui mi faceva la linguaccia, ebbi una stretta allo stomaco.
E guardai la porta, chiusa.
Pochi istanti dopo mi alzai, afferrai borsa del pc e giacca e uscii dall’ufficio sbattendo la porta: la rincorsi giù per le scale, ovviamente senza dare nell’occhio, seguii il suo stesso percorso e mi precipitai nel parcheggio ma tutto quello che vidi di lei fu il retro della sua auto che usciva dallo stop e si immetteva nel traffico.
Troppo tardi.
Mentre guidavo verso casa la mia mente vagava libera, tutto sembrava ancora così strano…
Non mi fermai né a prendere qualcosa da mangiare né in tintoria per ritirare le camicie, e quando arrivai sotto casa mi resi contro che praticamente c’ero arrivato automaticamente, mi ero disconnesso.
“Fantastico” sussurrai, “cominci a perdere i colpi…”
Entrai in casa e il silenzio mi aggredì le orecchie, accesi la tv a volume alto e cercai conforto nei gesti semplici di tutti i giorni, e mentre stavo sistemando le scarpe al loro posto… ding.
Presi il telefono e lo sbloccai.
Bolletta energia elettrica.
“Ma vaffanc…” sibilai, e gettai il telefono sul divano prima di mettermi comodo e cercare di dimenticare tutto.
Mi misi in doccia e ci restai a lungo, e quando uscii evitai anche di rivestirmi restando con i soli boxer, e mi gettai sul letto.
E cercai di ragionare, di fare il punto della situazione.
Non potevo farne la ragione della mia vita, mi stavo scopando la collega d’ufficio, e basta: non c’erano implicazioni, era la storia più bella del mondo, così mi imposi di pensare.
Fino a che mi arrivò un messaggio, e subito dopo un altro ancora, e un altro: solo una persona che conoscevo spediva i messaggi senza terminare la frase o fare punto e a capo.
“sono uscita per andare in palestra, ma non ho più voglia”
“devo rientrare a casa per le sette, ho più di un’ora libera”
“e noi due abbiamo ancora una questione in sospeso”
Avevo il cuore che andava a mille.
“ti aspetto” le scrissi, e lei rispose con il pollice in su.
Meno di cinque minuti dopo la facevo entrare in casa, e meno di un minuto dopo che avevo richiuso la porta Alessia era alla pecorina sul mio divano con il sedere scoperto, e la mia lingua che le “danzava” tra figa e buco del culo in un valzer di gemiti.
Le regalai il trattamento che tanto gradiva, passandole la lingua dalla pancia scendendo per il triangolo peloso e risalendo sulla schiena passando per i suoi tesori, e quando lo tirai fuori pronto all’uso Alessia me lo prese e ci mise subito sopra la bocca attaccando un pompino frettoloso e violento, quasi doloroso.
Ma non era venuta per quello…
Bastò scambiarci uno sguardo per arrivare proprio la.
Alessia prese nuovamente posto sul divano, si mise in ginocchio e sporgendo il culone verso di me di fatto me lo consegnò, abbandonandosi con la faccia immersa nei cuscini, e da lì in avanti ero io al comando.
Le aprii le chiappe e ricominciai a leccarla, sopra e sotto, le scavai nella figa assaporando l’acre sentore della donna eccitata e poi rivolsi le mie attenzioni al forellino grinzoso, leccandolo e insalivandolo abbondantemente prima di dare fuoco alle polveri.
Glielo preparai usando le dita e dilatandolo per bene, e quando giudicai che fosse pronto mi tirai su e glielo appoggiai.
Usai la mia stessa saliva per lubrificarlo e quando finalmente provai a spingere… entrai con una facilità disarmante.
“Piano…” la sentii gemere da sotto i cuscini.
Feci piano, ma (probabilmente, e che ne so io?) quando ti entra qualcosa su per il culo non può essere una sensazione piacevole.
Alessia riemerse dai cuscini e mi guardò con espressione sofferente, provò a divincolarsi ma a quel punto feci l’uomo.
‘e che cazzo! finalmente…!’
Una mano gliela misi sulla schiena “costringendola” a stare giù e l’altra la usai per bloccarle la sua mano sinistra con cui provava a spingermi via, e nel contempo forzavo con la schiena per penetrarla sempre più in profondità, senza dare ascolto a gemiti, ahia e lamentele varie.
Funzionò, le entrai nel culo e mi ritrovai piantato dentro quasi tutto: gliel’avevo dilatato così tanto che la pelle sembrava tesa come la membrana del tamburo, ma così riempita aveva smesso sia di lamentarsi che di protestare.
Azzardai a togliere la mano dalla sua e gliela posi sul fianco destro, la sinistra la feci scivolare dalla schiena all’altro fianco e in quella posizione dominante cominciai a muovermi avanti e indietro, scopandola nel culo.
Ecco, ci voleva qualcuno che immortalasse il tutto: stavo inculando alla pecorina la mia collega d’ufficio, quella col culone che ammiravo e desideravo da anni!
Cominciai a sbatterla per davvero, Alessia subiva in silenzio e rispondeva ad ogni affondo con un “ah” sommesso accompagnando la mia spinta con un movimento in avanti, e ad ogni colpo che le infliggevo vedevo le sue chiappone ballare come gelatine alla pesca, e le sue tettone che dondolavano allo stesso ritmo.
Era una scena che avrebbe fatto sborrare un novantenne, senza contare che c’era anche il ciac ciac delle nostre cosce che collidevano.
Andai avanti per una manciata di secondi in completo silenzio, poi improvvisamente Alessia di svegliò.
“Sbattimi” mugolò eccitatissima, “così, sbattimi forte” cominciò a dire, e quegli “ah” sommessi diventarono degli “Ah!” secchi e vigorosi, fino a che da vero coglione esagerai rovinando tutto accelerando troppo e facendole male.
Tirò un verso e se lo sfilò da dentro facendomi vedere il buco del culo ridotto ad un tunnel scuro e profondo, poi si mise seduta, ansimante, ma con lo sguardo assatanato.
“Battere il ferro fin che è caldo…” mi dissi, e passai subito all’azione.
Mi guardò spaventata mentre la prendevo e la tiravo giù sul pavimento, ma quando me la feci venire sopra a cavalcioni e invece di puntarglielo dietro glielo appoggiai sul davanti si rilassò, anzi, me lo prese e se lo guidò alla fessurina facendolo abboccare bene prima di lasciarsi scendere e penetrarsi, anzi, impalarsi.
Se lo fece adattere bene, poi mi mise entrambe le mani sul petto e cominciò a cavalcare, muovendo il bacino ma anche le cosce per saltellarmi sopra: e quel gran spettacolo della natura che erano le sue tettone fecero il resto, regalandomi una scena che ancora oggi, a distanza di anni, spesso rivivo nei miei sogni.
Già, perché dopo Alessia di donne ne ho avute altre, prestazioni occasionali ma anche “residenti”, ma lei… lei mi è rimasta davvero dentro: quando fai sesso con una che non hai mai visto prima e che sai che non la vedrai ancora per molto… è un conto, quando lo fai con una donna che poi sei obbligato a rivedere sul lavoro o nella vita di tutti i giorni è un altro.
Avevamo fatto entrambi questa scelta, ci usavamo, ci divertivamo, ma non ci sarebbero mai state complicanze di tipo affettivo o amoroso.
Non so quante volte riuscì a venire quella sera, tre, quattro o cinque, non glielo chiesi nemmeno, era sudata ed iper eccitata ed aveva addosso un’energia che veniva senz’altro dal suo stato di esaltazione sessuale.
Cominciò a cedere perché aveva bisogno di fermarsi e rifiatare e quando si muoveva faceva anche qualche smorfia, allora evitai di correre con il freno tirato e mi lasciai andare: così quando Alessia cercò l’ennesimo orgasmo trovò il mio.
“Devi sborrare?” mi chiese sempre eccitatissima ma anche desiderosa di essere in controllo.
“Sì, sto per venire…” le confermai mentre le accarezzavo le tettone.
“Non venirmi dentro” mi disse seria, “non facciamo cazzate, eh?”
“Ok… tranquilla…” le risposi, ed assecondandola nel suoi movimenti arrivai a sentire l’ondata… emotiva arrivare da sotto e quando capii che ero in dirittura d’arrivo la sollevai e glielo puntai alla pancia, spruzzandola sull’ombelico e sulle tettone prima di crollare esausto ed ansimante a braccia aperte, come se mi avessero appena sparato.
Alessia mi rimase seduta sulle cosce per qualche istante, poi si sollevò (a fatica, era distrutta anche lei dall’intensità esplosiva di quel rapporto) e si venne a mettere in ginocchio, guardandomi con un misto di eccitazione residua ma anche di preoccupazione.
Guardava alternativamente il mio viso e il mio cazzo, e sicuramente cedendo all’impulso allungò una mano verso quest’ultimo e lo tenne dritto muovendola su e giù per scappellarlo lentamente e poi risalire altrettanto lenta “chiudendo” lo cappella con la pelle e radunando le ultime gocce di liquido biancastro, e restando ferma per non so quanto maturò l’idea, che poi mise in pratica: calò velocemente con la bocca e si risucchiò dentro tutto, scappellandomi l’affare e ciucciando via tutta la schifezza rimasta lì sopra e continuando a pomparmelo fino ad arrivare con il naso contro la mia pancia.
La guardavo… atterrito, con la bocca aperta, incrociai il suo sguardo e solo allora Alessia si tirò su abbandonandolo al suo destino.
Restammo lì sul pavimento credo per un paio di minuti, in silenzio, a guardaci senza che nessuno dei due aprisse bocca.
Eravamo a casa mia, dovevo essere un bravo ospite, quindi ruppi per primo il silenzio radio.
“Sono… distrutto, mi hai massacrato…” le dissi, in quello che doveva essere un complimento.
“Davvero?” mugolò sensuale, evidentemente soddisfatta sia dell’apprezzamento ricevuto che della prestazione.
“Sei… eccezionale” le dissi, e allungando una mano per accarezzarle la schiena incrociai la sua che avanzava verso di me, e le nostre dita ancora una volta si intrecciarono, ancora una volta involontariamente.
Ma volontariamente ci restarono, intrecciate.
“Anche tu mi hai distrutto” mi disse, ricordandosi che forse i complimenti servono anche all’uomo, “anzi…” ridacchiò, e non terminò la frase.
Toccava ancora me, e visto che aveva ridacchiato per prima perché non continuare?
“Ti brucia il culo?” le sussurrai, sornione.
“Stronzo!” rispose fingendosi arrabbiata e dandomi un pugno su una spalla, ma poi fece diverse smorfie e aggiunse “Mi brucia un sacco…”
“Ottima occasione per salutarla come si deve” pensai, mi tirai su e la feci mettere a quattro zampe, le andai dietro (sempre tenuto sotto controllo, casomai avessi idee strane…) e le aprii le chiappe, le accarezzai i due globi sudati e morbidissimi e poi cominciai a leccarla ancora tutta, da sotto a sopra, dalla figa alla schiena sudata passando per il bucone ancora aperto, insistendo su di lui per cercare di alleviarle il bruciore.
Ma era troppo sensibile e spingendomi via delicatamente con una mano sulla mia fronte si sottrasse alle mie attenzioni e si mise seduta a terra, raccogliendo le gambe e abbracciandosi le ginocchia tirate al petto, come se volesse proteggersi.
Era stato un rapporto breve ma esplosivo, esattamente come l’aveva desiderato.
Entrambi eravamo sudati e appiccicaticci, così di nuovo le proposi di farsi la doccia e stavolta non rifiutò.
Dal suo borsone prese le mutandine pulite e lo shampoo e poi mi seguì in bagno senza alcuna vergogna né imbrazzo.
“Qui ci sono gli asciugamani” le dissi, “quando li hai usati lasciali pure appesi lì sopra” aggiunsi facendole vedere i ganci di metallo al muro, e pronto per andarmene le feci un ultimo sorriso e le guardai ancora le grosse tettone, ma Alessia mi fermò.
“N-non vieni?” mi chiese, esitando.
Sorrisi, annuii ed entrai con lei.
Sotto la doccia cominciammo a sciacquarci in silenzio, ma poi la sfiorai, la sfiorai ancora, le feci solletico sotto le ascelle e Alessia si lasciò andare cominciando a ridere, fino a che ci ritrovammo abbracciati uno all’altra, con il mio affare che stava riprendendo consistenza “appoggiato” sul solco delle sue chiappone.
“Non provarci neanche…” sibilò, e mettendo una mano dietro me lo prese per allontanarlo, ma ottenne esattamente il risultato opposto, me lo fece diventare duro e se lo trovò puntato alla pancia, come un’arma.
“Basta che te lo tocco e sei già pronto per ricominciare?” mi chiese maliziosa e sicuramente anche ben impressionata dalle mie doti di recupero, ben sapendo che era anche (anzi, soprattutto) merito suo.
“Non ci posso fare niente” le risposi, senza fare nulla per nasconderlo, “ti… voglio così tanto che ti scoperei tutti i giorni, mattina e sera, come faccio a controllarmi?”
Sicuramente usai parole esagerate, ma la colpirono, me ne resi conto, ma al tempo stesso la fecero intristire.
Mi lasciò perdere e si andò a mettere sotto il getto di faccia, chiudendo gli occhi anche per evitare di vedermi così le lasciai la sua tranquillità e mi preparai per uscire.
“Devo fare la pipì” mi disse, rendendosi conto che stavo per abbandonare la nave.
“Caspita” pensai, “si deve essere messa davvero a suo agio per dire una cosa del genere…”, alla mia ex moglie c’erano voluti anni per convincerla a farla, con una delle ultime “compagne di giochi” non mordi e fuggi era stato anche solo impossibile nominare la cosa…
“Ok…” risposi, e fingendo di non guardarla non mi persi lo spettacolo: da brava ragazza tuttavia si accovacciò e la fece direttamente nella piletta di scarico, e quando sollevò lo sguardo mi beccò ovviamente a guardarla, ma non disse nulla, sorrise e finì il suo bisogno tirandosi su e pulendosela con un po’ di sapone liquido prima di sciacquarla e chiudere l’acqua.
Quando fu pronta per andarsene mi abbracciò e senza dire una parola uscì di casa e scese le scale senza voltarsi, affrettando il passo perché era già in ritardo.
Quella sera mangiai con appetito, guardai il calcio in tv e una volta finita la partita spensi e andai a letto addormentandomi quasi subito, ma di lì a poco… ding.
“dormi?”
“no, non ancora”
“come mai?”
“penso”
“a cosa?”
“a tante cose… a tante persone”
“pensi a me?”
“no, perché dovrei?” risposi, ottenendone in cambio le faccine che ridevano.
“giusto, hai ragione” replicò, “ricorda sempre quello che abbiamo deciso, solo sesso”
“brava” risposi, con il pollice in su.
Silenzio, nessuno dei due voleva replicare o aggiungere ma aspettava l’altro.
‘ecco, come i bambini dell’asilo…’
Ma Alessia era evidentemente di buon umore, dovevo sfruttare la cosa.
“sai una cosa?” le scrissi, “sai cosa mi piacerebbe fare?”
“con te, intendo…”
“che cosa?” mi chiese, curiosissima.
“non so se dirtelo o no, però…” scrissi.
“senti, non cominciare” scrisse, con le faccine rosse incazzate, “se mi vuoi dire le cose dille, sennò sta zitto e non rompere i coglioni, intesi?”, frase minacciosa seguita dalla faccina che sghignazzava.
“ok, allora te lo dico” scrissi, pensai bene, ci ripensai ancora e poi lo feci.
“mi piacerebbe portarti a letto” scrissi, “dormire con te e svegliarmi con te”
Silenzio.
“lo so che non si può” scrissi allora, “ma mi piacerebbe…”
E fu lì che ebbi una delle più grandi sorprese della mia vita.
“sabato se vuoi si può fare” scrisse.
“wow…” risposi, “sarebbe magnifico…”
“lui è via tutto il fine settimana” scrisse, riferendosi al marito come ‘lui’ senza chiamarlo per nome, “e posso portare Gioia dai nonni che non vedono l’ora di tenerla”
Mi tremavano le gambe.
“lì da te, ovviamente, se non ci sono problemi…” aggiunse.
“sarebbe magnifico” scrissi con le faccine esaltate, e lei rispose con quelle che facevano l’occhiolino.
“però ho bisogno di recuperare, e riposare le mie… parti femminili” scrisse, senza il minimo pudore, “sono state sfruttate troppo ultimamente, e tu ne sai qualcosa, vero?”
Risposi con le faccine angeliche.
“ho dovuto mettere la crema per le irritazioni, giù di sotto” mi scrisse, ormai persa e senza alcuna vergogna, “dovresti vedere come me l’hai conciato…” aggiunse con la faccina rossa di rabbia.
“fammelo vedere” le risposi, sfacciato.
Non replicò, aspettai, aspetta e aspetta e… ding.
Mi mandò la foto delle sue tettone immortalate mentre si teneva sollevata la maglietta.
“ti deve bastare questa… buonanotte” scrisse, mi mandò una faccina con il bacio e poi scrisse ancora “a domani”, e si disconnesse.
“A domani” sussurrai, guardai ancora a lungo le sue foto tra cui quella che mi aveva appena mandato e poi chiusi tutto.
Era stata una giornata impegnativa, ma fantastica.
Alessia si era completamente disinibita, e oltre a trovare una compagna di giochi mi ero anche rimediato una bella gatta da pelare…
Mi misi a ridere, e continuando a ridere come un cretino gettai il telefono sul tappeto a terra e mi misi a pancia in giù sul materasso, ricordo che riuscii solo a pensare al fatto che sabato mattina avrei dovuto cambiare le lenzuola e ripulire la casa e poi mi addormentai, felice, sereno e rilassato come non lo ero stato da mesi.
‘e il bello deve ancora arrivare…’
Alla prossima, l’epilogo.