Michela avrà avuto circa trent'anni; non era bellissima, eppure dal giorno in cui notai la semplicità e la grazia nei suoi modi e la naturale sensualità del suo sguardo e della sua voce, la mia fantasia si mise in moto ed ogni volta che le passavo vicino la immaginavo nuda o in pose e situazioni provocanti. Talvolta, rientrando a casa dopo averla incrociata, mi masturbavo pensandola: mi scoprivo puntualmente a lasciarmi andare con facilità e avevo sempre orgasmi molto intensi. Col tempo inevitabilmente lei si accorse di come la guardavo, ma quelle mie attenzioni discrete non sembravano turbarla né infastidirla: anzi, mi parve subito di notare da parte sua una certa complicità; cominciò a rispondere ai miei sguardi con un pizzico di malizia, a lanciarmi con gli occhi e il linguaggio del corpo segnali appena percettibili, che io interpretai come inviti a proseguire il gioco. Perciò non passò molto tempo prima che l’idea di farci sesso per davvero cominciasse a ronzarmi in testa: più la cosa mi pareva improbabile, più mi eccitava, fino quasi a diventare una sorta di ossessione. Incominciai a spiarla; studiai persino il modo di fotografarla di nascosto, cogliendola a gambe scoperte o in pose in cui scorgerle il seno; malgrado di quest'ultima cosa non sospettasse nulla, presto il mio interesse per lei divenne lo stesso inequivocabile tanto che, col tempo, incominciò anche lei a creare occasioni per incrociarmi più spesso non solo in portineria, com’era normale, ma anche sulla soglia di casa quando uscivo o rientravo: il tutto in modo apparentemente casuale, ma ogni volta puntualmente attirando il mio sguardo su di sé o sul suo corpo. Finché una mattina, subito prima di uscire di casa, udii qualcuno muoversi sul pianerottolo.
Aprii la porta e vidi Michela con la scopa in mano e indosso il solito piumino sui leggings neri; mi salutò e sorrise come sempre ma dal suo sguardo ebbi l’impressione che mi stesse aspettando e, non appena le arrivai più vicino, capii che non mi sbagliavo: fissandomi, aprì a metà la cerniera e si chinò verso di me quanto bastava perché vedessi che, sotto la giacca, era nuda dalla pancia in su. Poi, come se niente fosse, riprese molto lentamente a spazzare, sempre attenta a restarmi di fronte: io guardavo la pelle bianca e i seni morbidi dai grandi capezzoli a punta ondeggiare con lei che, intanto, aveva preso a dondolare dolcemente anche l’ombelico e i fianchi, come in una lenta danza del ventre. Prima che potessi anche solo sfiorarla, il suono di passi sulle scale dal piano di sopra ci distolse dal gioco; lei soffocò una risata e fulminea richiuse lo zip mentre io mi allontanavo in silenzio, facendo finta di nulla, con il cazzo gonfio nei pantaloni. Ormai non avevo più dubbi: alla prima occasione l’avrei fatta mia.
Arrivò l’estate. Un sabato mattina, rientrando, trovai Michela come al solito in portineria. Indossava un vestitino che le lasciava scoperte le spalle rotonde, la pelle chiara e liscia che scompariva soffice nella scollatura, e le gambe con minuscoli sandali ai piedi. Dopo avermi salutato e consegnato una lettera, aggiunse che quel giorno il palazzo era completamente deserto: tutti fuori città, tranne noi due. Subito intuii il segnale dietro quell’informazione non necessaria, ma mi avviai comunque verso casa. Dopo qualche minuto tornai fuori e dall’alto delle scale spiai Michela seduta in guardiola: aveva già chiuso il portone sapendo che da dentro nessuno, tranne forse me, l’avrebbe disturbata. Poggiata all’indietro, con una mano carezzava il vestito sopra i seni tondi, indugiando sul rilievo dei capezzoli turgidi. L’altra mano si muoveva lenta in mezzo alle gambe: da lassù riuscivo a vedergliela affondare fra le cosce nude ben aperte sullo sgabello. La sua figa, tutta liscia tranne un velo di peluria subito sotto la pancia, era gonfia e bagnata attorno alle dita; aveva gli occhi chiusi e la bocca appena aperta. Non sapevo se si fosse accorta di me: forse credeva davvero di essere sola, oppure sapere che la guardavo godere la eccitava ancora di più; nel dubbio rimasi ancora un po’ a gustarmi la scena in silenzio, toccandomi assieme a lei. Poi lentamente mi avvicinai e, appena lei si avvide della mia presenza, le sorrisi e feci un cenno di silenzio col dito sulla bocca per tranquillizzarla e invitarla a continuare. A quel punto fu chiaro che mi aveva già visto e che mi stava solo aspettando.
Entrai perciò nella guardiola e mi accostai a lei, col pacco gonfio proprio all’altezza del suo viso: lei chiuse di nuovo gli occhi mentre col dorso della mano le carezzavo le guance e il collo, poi mi sbottonò i pantaloni, liberò il cazzo e me lo prese in bocca: la sua lingua, tutta fuori, scorreva su e giù sulla mia carne dura. Mentre me lo succhiava, spalancò di nuovo le cosce e riprese a toccarsi con più forza di prima. Dai suoi gemiti sulla mia cappella capii quanto le piacesse sentirlo tutto in bocca e intanto scoparsi, perciò le misi una mano dietro la testa e la lasciai venire così: la vidi colare dalla figa e sentii che fremeva impazzita mentre ingoiava avidamente tutta la mia sborra. Poi, entrambi appagati e col buon odore della pelle bagnata ancora addosso, ci salutammo senza parlare: solo un tenero bacio sulle labbra suggellò il nostro segreto, da custodire fino alla prossima occasione.
Mesi dopo, risposi al citofono. Dall’altro capo, Michela: «È arrivata una raccomandata, te la posso portare?» e io: «Certo, grazie…». Mi era bastato udire il leggero soffio nella sua voce perché la fantasia si mettesse in moto: la ricordai in quel primo orgasmo e sentii la cappella gonfiarsi. Mi resi anche conto che era l’ora di chiusura della portineria: aveva scelto quel momento così da poter stare via quanto voleva. Dallo spioncino della porta la vidi uscire dall’ascensore e fermarsi sulla soglia in attesa che le aprissi. Mi presi ancora qualche secondo per guardarla di nascosto, a figura intera: ai piedi aveva soltanto esili infradito azzurre, le unghie erano smaltate di blu. Indossava un paio di leggings celesti molto aderenti, che le lasciavano scoperte le caviglie sottili; sotto la stoffa, i fianchi generosi e le cosce rotonde si richiudevano dolcemente al centro, lasciando intravedere il leggero rilievo carnoso della sua fessura. La felpa nera aveva la cerniera di poco aperta sulla scollatura rigogliosa, la pelle era di madreperla e le punte dei capezzoli spingevano turgide sotto il cotone. Quando le aprii la porta, la mia tuta non nascondeva già più l’erezione.
Firmai il registro mentre lei di sfuggita sbirciava fra le mie gambe, fingendo imbarazzo. Poi richiuse la porta dietro di sé, mi guardò e sorrise. Il mio sguardo era ancora fisso nel suo quando avvertii la sua mano posarsi sul mio pacco, come a saggiarne la consistenza: poi chiuse gli occhi e candida sussurrò: «che bello…» e intanto incominciò a carezzarsi il seno da sopra la felpa. Quindi lenta abbassò la cerniera e liberò davanti a me le sue mele sode e bianche; io mi tolsi la camicia e lasciai che la sua mano si insinuasse dentro la mia tuta per afferrarmi la carne, poi anche lei lasciò cadere la felpa dietro di sé, le mie mani scivolarono lungo la sua schiena nuda e io le misi la lingua in bocca. Mentre la baciavo col suo corpo caldo addosso, mi feci strada nei leggings per arrivare ad affondare le mani nella carne soda e liscia delle sue natiche, confermando ciò che già sospettavo: era salita senza mutande. Ben presto anche i pantaloni le caddero lasciandola nuda e bollente addosso a me. Mi chinai a indugiare con la lingua e le labbra sui suoi capezzoli turgidi, mentre le mie dita le stuzzicavano le labbra già umide della figa, il clitoride, il culetto, provocandole i primi gemiti di piacere.
Poi fulminea si accovacciò e mi avvolse tutto il cazzo nella sua bocca soffice mentre le sue dita sparivano fra le cosce aperte. Nuovamente mi succhiava e si masturbava, come ormai sapevo che adorava fare, stavolta coi seni caldi pigiati sulle mie gambe, ed io a sentirmela così addosso per poco non cedetti alla voglia di sborrarle di nuovo in bocca. Ma ormai la volevo tutta. Perciò la condussi sul divano, la misi a sedere di schiena sopra di me e, tenendola per le costole, incominciai a scoparla. La carne rosa del culo di Michela sfregava rovente contro le mie gambe e la mia pancia, mentre io sotto di lei penetravo a fondo la sua figa allagata di umori. La guardai riflessa nello specchio: i seni balzavano al ritmo dei miei colpi, la sua bocca era spalancata in un gemito continuo e convulsa ripeteva: «scopami, scopami…». Non riuscivo più a pensare a nient’altro che inondarle quel ventre caldo col mio sperma; non ci volle molto prima che i suoi schizzi di piacere bagnassero tutto, colando lungo le sue cosce morbide, ed io nello stesso momento le esplodessi dentro fino all’ultima goccia. Poi lei si abbandonò, posò languida la testa sulla mia e, in silenzio, restammo così ancora un po’: lei sopra di me e io dentro di lei, teneramente abbracciati a scambiarci le lingue.
Aprii la porta e vidi Michela con la scopa in mano e indosso il solito piumino sui leggings neri; mi salutò e sorrise come sempre ma dal suo sguardo ebbi l’impressione che mi stesse aspettando e, non appena le arrivai più vicino, capii che non mi sbagliavo: fissandomi, aprì a metà la cerniera e si chinò verso di me quanto bastava perché vedessi che, sotto la giacca, era nuda dalla pancia in su. Poi, come se niente fosse, riprese molto lentamente a spazzare, sempre attenta a restarmi di fronte: io guardavo la pelle bianca e i seni morbidi dai grandi capezzoli a punta ondeggiare con lei che, intanto, aveva preso a dondolare dolcemente anche l’ombelico e i fianchi, come in una lenta danza del ventre. Prima che potessi anche solo sfiorarla, il suono di passi sulle scale dal piano di sopra ci distolse dal gioco; lei soffocò una risata e fulminea richiuse lo zip mentre io mi allontanavo in silenzio, facendo finta di nulla, con il cazzo gonfio nei pantaloni. Ormai non avevo più dubbi: alla prima occasione l’avrei fatta mia.
Arrivò l’estate. Un sabato mattina, rientrando, trovai Michela come al solito in portineria. Indossava un vestitino che le lasciava scoperte le spalle rotonde, la pelle chiara e liscia che scompariva soffice nella scollatura, e le gambe con minuscoli sandali ai piedi. Dopo avermi salutato e consegnato una lettera, aggiunse che quel giorno il palazzo era completamente deserto: tutti fuori città, tranne noi due. Subito intuii il segnale dietro quell’informazione non necessaria, ma mi avviai comunque verso casa. Dopo qualche minuto tornai fuori e dall’alto delle scale spiai Michela seduta in guardiola: aveva già chiuso il portone sapendo che da dentro nessuno, tranne forse me, l’avrebbe disturbata. Poggiata all’indietro, con una mano carezzava il vestito sopra i seni tondi, indugiando sul rilievo dei capezzoli turgidi. L’altra mano si muoveva lenta in mezzo alle gambe: da lassù riuscivo a vedergliela affondare fra le cosce nude ben aperte sullo sgabello. La sua figa, tutta liscia tranne un velo di peluria subito sotto la pancia, era gonfia e bagnata attorno alle dita; aveva gli occhi chiusi e la bocca appena aperta. Non sapevo se si fosse accorta di me: forse credeva davvero di essere sola, oppure sapere che la guardavo godere la eccitava ancora di più; nel dubbio rimasi ancora un po’ a gustarmi la scena in silenzio, toccandomi assieme a lei. Poi lentamente mi avvicinai e, appena lei si avvide della mia presenza, le sorrisi e feci un cenno di silenzio col dito sulla bocca per tranquillizzarla e invitarla a continuare. A quel punto fu chiaro che mi aveva già visto e che mi stava solo aspettando.
Entrai perciò nella guardiola e mi accostai a lei, col pacco gonfio proprio all’altezza del suo viso: lei chiuse di nuovo gli occhi mentre col dorso della mano le carezzavo le guance e il collo, poi mi sbottonò i pantaloni, liberò il cazzo e me lo prese in bocca: la sua lingua, tutta fuori, scorreva su e giù sulla mia carne dura. Mentre me lo succhiava, spalancò di nuovo le cosce e riprese a toccarsi con più forza di prima. Dai suoi gemiti sulla mia cappella capii quanto le piacesse sentirlo tutto in bocca e intanto scoparsi, perciò le misi una mano dietro la testa e la lasciai venire così: la vidi colare dalla figa e sentii che fremeva impazzita mentre ingoiava avidamente tutta la mia sborra. Poi, entrambi appagati e col buon odore della pelle bagnata ancora addosso, ci salutammo senza parlare: solo un tenero bacio sulle labbra suggellò il nostro segreto, da custodire fino alla prossima occasione.
Mesi dopo, risposi al citofono. Dall’altro capo, Michela: «È arrivata una raccomandata, te la posso portare?» e io: «Certo, grazie…». Mi era bastato udire il leggero soffio nella sua voce perché la fantasia si mettesse in moto: la ricordai in quel primo orgasmo e sentii la cappella gonfiarsi. Mi resi anche conto che era l’ora di chiusura della portineria: aveva scelto quel momento così da poter stare via quanto voleva. Dallo spioncino della porta la vidi uscire dall’ascensore e fermarsi sulla soglia in attesa che le aprissi. Mi presi ancora qualche secondo per guardarla di nascosto, a figura intera: ai piedi aveva soltanto esili infradito azzurre, le unghie erano smaltate di blu. Indossava un paio di leggings celesti molto aderenti, che le lasciavano scoperte le caviglie sottili; sotto la stoffa, i fianchi generosi e le cosce rotonde si richiudevano dolcemente al centro, lasciando intravedere il leggero rilievo carnoso della sua fessura. La felpa nera aveva la cerniera di poco aperta sulla scollatura rigogliosa, la pelle era di madreperla e le punte dei capezzoli spingevano turgide sotto il cotone. Quando le aprii la porta, la mia tuta non nascondeva già più l’erezione.
Firmai il registro mentre lei di sfuggita sbirciava fra le mie gambe, fingendo imbarazzo. Poi richiuse la porta dietro di sé, mi guardò e sorrise. Il mio sguardo era ancora fisso nel suo quando avvertii la sua mano posarsi sul mio pacco, come a saggiarne la consistenza: poi chiuse gli occhi e candida sussurrò: «che bello…» e intanto incominciò a carezzarsi il seno da sopra la felpa. Quindi lenta abbassò la cerniera e liberò davanti a me le sue mele sode e bianche; io mi tolsi la camicia e lasciai che la sua mano si insinuasse dentro la mia tuta per afferrarmi la carne, poi anche lei lasciò cadere la felpa dietro di sé, le mie mani scivolarono lungo la sua schiena nuda e io le misi la lingua in bocca. Mentre la baciavo col suo corpo caldo addosso, mi feci strada nei leggings per arrivare ad affondare le mani nella carne soda e liscia delle sue natiche, confermando ciò che già sospettavo: era salita senza mutande. Ben presto anche i pantaloni le caddero lasciandola nuda e bollente addosso a me. Mi chinai a indugiare con la lingua e le labbra sui suoi capezzoli turgidi, mentre le mie dita le stuzzicavano le labbra già umide della figa, il clitoride, il culetto, provocandole i primi gemiti di piacere.
Poi fulminea si accovacciò e mi avvolse tutto il cazzo nella sua bocca soffice mentre le sue dita sparivano fra le cosce aperte. Nuovamente mi succhiava e si masturbava, come ormai sapevo che adorava fare, stavolta coi seni caldi pigiati sulle mie gambe, ed io a sentirmela così addosso per poco non cedetti alla voglia di sborrarle di nuovo in bocca. Ma ormai la volevo tutta. Perciò la condussi sul divano, la misi a sedere di schiena sopra di me e, tenendola per le costole, incominciai a scoparla. La carne rosa del culo di Michela sfregava rovente contro le mie gambe e la mia pancia, mentre io sotto di lei penetravo a fondo la sua figa allagata di umori. La guardai riflessa nello specchio: i seni balzavano al ritmo dei miei colpi, la sua bocca era spalancata in un gemito continuo e convulsa ripeteva: «scopami, scopami…». Non riuscivo più a pensare a nient’altro che inondarle quel ventre caldo col mio sperma; non ci volle molto prima che i suoi schizzi di piacere bagnassero tutto, colando lungo le sue cosce morbide, ed io nello stesso momento le esplodessi dentro fino all’ultima goccia. Poi lei si abbandonò, posò languida la testa sulla mia e, in silenzio, restammo così ancora un po’: lei sopra di me e io dentro di lei, teneramente abbracciati a scambiarci le lingue.
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