Racconto di fantasia Cuori in pausa - Dramma erotico in innumerevoli scene. Scena 1 e 2

felixquinn

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SCENA 1​

La luce del pomeriggio filtrava appena attraverso le persiane chiuse. Un raggio obliquo illuminava una piccola porzione del pavimento in legno, riflettendosi sui bordi di una scatola di cartone semi-aperta. Dentro, abiti ammassati in modo disordinato: magliette piegate a metà, jeans arrotolati, qualche maglione.

In casa c’era un silenzio assordante mentre Mario e Lara si davano da fare per recuperare vestiti e altro dagli armadi e dalle cassettiere.

Mario sollevò un altro paio di camicie dal comò e le mise nella scatola, senza guardarle davvero. Aveva le mani ferme, i gesti misurati, cercava di essere freddo ma dentro sentiva un nodo sempre più stretto. Alle sue spalle, Lara stava fissando la parete, le braccia conserte e i capelli lunghi che le scivolavano come una cascata dorata lungo la schiena. Il viso lievemente rigato dalle lacrime.

Il silenzio era teso, denso di parole non dette.

«Stai prendendo anche le foto?» chiese lei a bassa voce, senza girarsi.

Mario sospirò piano. «No, quelle se vuoi rimangono qui. Questa è la nostra stanza. Lo studio è piccolo, non avrei molto spazio dove appoggiare cose e non voglio portarmi via troppo.»

«Come preferisci.» La voce di Lara era quasi un sussurro. Poi si voltò lentamente, i suoi occhi verdi erano cerchiati di stanchezza e di tristezza. «Non pensavo saremmo mai arrivati a questo punto.»

Lui si fermò, appoggiando le mani al bordo della scatola. Avrebbe voluto dirle che neanche lui l’aveva mai pensato. Che quella casa l’avevano sognata insieme, immaginata come un rifugio dal mondo, lontano dalle aspettative delle loro famiglie. Costruita pezzo per pezzo scegliendo ogni mobile, ogni decoro nemmeno tanti mesi fa. Ma ormai le parole erano diventate trappole: ogni frase detta sembrava contenere un’accusa implicita o una tristezza insostenibile.

Mario la guardò, cercando di trattenere qualcosa che sembrava stargli per sfuggire. «Lara, questa è solo una pausa. È quello che ci serve, no? Restare qui ma… dare a entrambi un po’ di spazio. Amore lo sai che non possiamo andare avanti così, non sei felice.»

Lei annuì, ma le lacrime le brillavano agli angoli degli occhi. «Sì, lo so. È solo che…» Fece un respiro tremante. «Mi sembra di fallire due volte: con te e con me stessa.»

Si fece avanti e, per un istante, le prese la mano. Il contatto era familiare e allo stesso tempo stranamente distante. Le loro dita si incrociarono. «Non è un fallimento. Forse è solo un modo diverso per provare a far funzionare le cose. Io ho provato in ogni modo a renderti felice ma in questo momento evidentemente hai bisogno d’altro. Me l’hai chiesto tu.»

«Lo so, lo so. Non è una cosa che viene da te, sono io così. Non sai quanto mi devasti sapere che mi ami, che ti amo, eppure non riuscire a essere felice. Fa male sai? E fa male anche sapere che ti faccio del male, ma non so davvero come altro fare»

Mario stava per dire qualcosa ma Lara continuò, quasi presa da agitazione.
«Non posso pensare di vivere senza di te, di rinunciare a te. Ma ora so che ho solo bisogno di tempo da sola, per capirmi, per risolvere quello che ho dentro, quello che sento»

«Proviamoci. Proviamole tutte. Io sono convinto che ne usciremo più forti, più uniti». Si avvicinò a lei e la baciò lievemente sulle labbra. Una lacrima scese dal viso di entrambe.

Lara lo fissò con un misto di speranza e dolore. «E se non funziona nemmeno questo?»

Mario non rispose subito. Guardò fuori dalla finestra, oltre le tende, dove il giardino si stendeva in un intrico di piante selvatiche che avrebbero dovuto sistemare in questi giorni. Poi si voltò di nuovo verso di lei. «Non pensiamoci ora. Se succederà allora lo scopriremo. Ma almeno ci avremo provato. E affronteremo insieme tutto come l’abbiamo sempre affrontato»

La stretta delle loro mani si allentò lentamente. Lara tornò a guardare le scatole sul pavimento. Dentro, insieme ai vestiti, c’erano anche altri ricordi che Mario aveva tenuto, biglietti di concerti, qualche cianfrusaglia che avevano raccolto negli anni. Era sempre stato una sorta di accumulatore seriale, voleva conservare tutto del loro tempo passato assieme. Ricordi che ora sembravano pesare tonnellate.

«Va bene,» disse lei, tirando su col naso. «Tu prendi lo studio. Io resterò qui. Magari… sarà più semplice di quanto pensiamo.»

Mario fece una smorfia che avrebbe dovuto somigliare a un sorriso. «O magari sarà un casino totale.»

Questa volta, una risata amara le sfuggì dalle labbra. «Sì, probabilmente. Non so come riusciremo a stare in pausa vedendoci tutti i giorni, ma è davvero l’unico modo. Qualunque altra cosa sarebbe troppo complicata. La faremo funzionare» Poi si girò e prese un altro mucchio di vestiti dall’armadio, piegandoli con una cura quasi ossessiva.

Il suono delle loro vite che si separavano sotto lo stesso tetto era così sottile da sembrare irreale. Due persone che si amavano ancora, ma che non riuscivano più a trovare il modo di far combaciare i pezzi.

Mario prese il suo ultimo paio di scarpe e chiuse la scatola. «Stasera ordiniamo una pizza? Come… come due coinquilini qualsiasi?»

Lara si voltò verso di lui, un’ombra di malinconia attraversandole il viso. «Sì. Coinquilini che una volta si amavano.»

«O che forse si amano ancora,» aggiunse lui, lasciando la frase sospesa nell’aria, come un ponte fragile tra due mondi ormai distanti.

Fece per uscire dalla stanza, la scatola tra le braccia.

«Aspetta» disse Lara e si fiondò su di lui. Mario appoggiò le scatole e la strinse a sé, i loro respiri pesanti. I loro visi si avvicinarono e incominciarono a baciarsi. Dolcemente, come due innamorati che si salutano prima di un viaggio che li terrà lontani per un po’.

«Ti amo» si dissero. E risero.

Varcò la soglia, sapendo che nulla sarebbe più stato come prima.

Appoggiò le scatole nello studio, avrebbe iniziato a sistemarle dopo. Si guardò attorno. Quel piccolo studio sarebbe diventato la sua camera per qualche tempo. Quel piccolo studio con la finestra che dava sull’ingresso, con i mobili in legno chiaro, che doveva essere la stanza in più. Quella di un possibile futuro bambino. Mario si lasciò andare di schianto sul divano letto. La casa rimase in silenzio mentre i pensieri dei due vagavano in mille direzioni diverse

SCENA 2​

«Ma quando saremo in pausa potremo ancora preparaci una pizza e guardarci un film come stasera? » Mario cercava di capire come si sarebbero organizzati. Ancora non poteva credere di rinunciare a tutto questo

«Beh magari no, almeno non ora. Dobbiamo davvero cercare di impegnarci e di lasciare a ognuno spazio. Se no non ci servirà assolutamente a nulla. Magari più avanti si vedrà». Lara sembrava avere le idee chiare, o per lo meno più chiare rispetto allo spazio che voleva.

«Ma scusa quanto andrà avanti, ci diamo un termine? »

«Amore non lo so, non lo so davvero. Non diamoci termini, non diamoci tempi. Prendiamo il tempo che ci serve per capire. Lo sai ne abbiamo già parlato, ti prego non ritiriamo tutte le volte fuori questo argomento. Se è una pausa è una pausa. Oggi ne abbiamo parlato e abbiamo preso la decisione, da domani portiamola avanti e vedremo dove ci condurrà ». Lara iniziava a dare segni di stanchezza. Si strinse a Mario che rimaneva in silenzio. Non era facile per lui capire tutto questo, ma sapeva anche lui che ora come ora non c’erano alternative. O mandavano tutto all’aria o ci provavano così. Anche se lui non era mai stato convinto delle pause.

«Va bene amore mio. Ce la faremo, vedrai ». Mario cercò di recuperare un po’ di convinzione e le diede un bacio sulla fronte.

«Ecco, so che è difficile, ma magari da domani dovremmo anche riuscire a smettere di chiamarci amore. Siamo due coinquilini. Prendiamola come una sorta di gioco di ruolo. Non è facile neanche per me » gli disse guardandolo con i suoi occhi verdi, lievemente umidi.

Ogni parola per Mario era un tonfo. Era come se gli venissero man mano tolti dei pezzi. Non si potrà fare più questo, né questo, né quell’altro. Pensò al suo corpo. Al non poterlo vedere, toccare, annusare. Si sentii sprofondare

«Due coinquilini possono fare così? » e allungò la mano per toccarle i seni. Lara gli diede una piccola sberla giocosa sulla mano lasciandosi andare a una lieve risata.

«Direi proprio di no, che dici? Non saremo friends with benefits se questo intendi. Dai fai il serio, è una cosa seria. Davvero». Lara lo guardò con un misto di sorriso e supplica che intenerì Mario. Come avrebbe fatto senza stringerla a sé ogni notte.

«Però saremo in pausa da domani, giusto?» chiese Mario

«Cosa intendi?» lo guardò con aria interrogativa iniziando a sospettare dove volesse andare a parare.

«Quindi se adesso ti bacio sul collo tipo così» e le diede un lieve bacio scostandole i lunghi capelli biondi, Lara fu scossa da un lieve brivido. «Oppure se ti sfioro le guance con le dita così» disse prendendole il viso. Lara emise un lieve sospiro. Come avrebbe fatto senza quelle mani. «O se lascio scivolare la mia mano lungo la tua schiena così, in fondo sono ancora il tuo ragazzo per oggi» La sua mano si infilò sotto la maglietta e con le dita percorse la schiena nuda di Lara.

Mario cercava di alleggerire la tensione, ma allo stesso tempo era preso da un desiderio fortissimo di lei. La paura di non averla più aveva preso il sopravvento. Lara si abbandonò a quelle carezze, a quelle mani. Sapeva che forse non era il caso ma se davvero dal giorno dopo tutto sarebbe finito, o messo in pausa come si dicevano, non poteva pensare di non sentirle un’altra volta.

Si diedero un bacio, con un misto di tenerezza, passione e tristezza. Entrambi sapevano che poteva essere l’ultima volta. Mario prese Lara per mano e senza dire niente la portò su per le scale nella loro camera, in quella che era la loro camera, che ora era diventata camera di Lara. Si spogliarono rapidamente e sotto le lenzuola ripresero a baciarsi con passione.

Lara allargò le gambe e lasciò che le dita di Mario iniziassero ad accarezzarla. Era sempre stato bravo con le dita, lei si bagnava subito. I suoi respiri divennero più affannosi, iniziando a emettere qualche leggero mugolio di piacere. Mario scese lungo l’ombelico con piccoli baci fino a trovare il suo viso immerso tra le sue gambe. Con la punta della lingua iniziò a fare piccoli cerchi, poi a percorrere la spaccatura delle labbra. Lara fu scossa da un brivido ed emise un gemito più forte mentre Mario alternava la lingua e le dita. Lei lo prese per i capelli chiedendogli di sollevarsi per poterlo baciare, le sue labbra bagnate dei suoi umori.

«Scusa c’è tanta tensione, dammi un attimo» disse Mario accarezzandosi il cazzo ancora non rigido. Ultimamente capitava. Era una delle discussioni che avevano avuto. Lara voleva un sesso più animalesco, deciso, più intenso.

«Non ti preoccupare, ci penso io» disse Lara, lo prese in mano e iniziò ad accarezzarlo, intanto lo baciava sul petto scendendo sempre di più fino ad accoglierlo tra le sue labbra. Mario emise un gemito. Le labbra di Lara attorno al suo cazzo erano una sensazione fortissima, potente. Non poteva pensare di rimanere senza. Scacciò via i pensieri tristi e si concentrò sulle sensazioni. Lara lo avvolgeva fino a prenderlo interamente in bocca, in gola, finché il suo naso toccava la pancia di Mario. Questo lo faceva impazzire e finalmente il suo membro iniziò ad acquistare durezza. Si staccò da lei, si mise sopra, Lara allargò le gambe e Mario le entrò dentro piano, con dolcezza, guardandola negli occhi. Iniziò a muoversi con movimenti lenti mentre la teneva abbracciata a sé, voleva godersi questo momento, fare l’amore con lei.

«Sì sì, muoviti così» diceva Lara

«Toccati, toccati ora, voglio sentire che vieni mentre sono dentro di te»

Le sue dita scesero lungo il ventre, appoggiandosi sopra il monte di venere e iniziando a muoversi freneticamente. Lui la guardava mentre si muoveva dentro di lei, bellissima, i capelli biondi lunghi adagiati di lato, le labbra a formare una piccola o mentre gemeva. Quanto era bella, e la sensazione meravigliosa di scivolare dentro di lei, di sentirla bagnata, di sentirla gemere

«Continua continua, muoviti più forte» implorò lei

Mario iniziò a dare colpi più decisi, tenendola per i fianchi mentre le dita di Lara continuavano a muoversi forsennatamente in cerca dell’orgasmo, lei chiuse gli occhi, oddio impazziva a vederla così, come avrebbe fatto domani, e dopodomani, quanto sarebbe durato senza voler sentire il suo corpo, come poteva rimanere in astinenza? E lei? Lei aveva sempre voglia, come sarebbe riuscita a stare in astinenza per tutta la pausa. L’immagine arrivò come un fulmine. Lara distesa così a godere presa da un altro. Fu come un pugno, e allo stesso tempo una scarica nelle sue parti basse, Mario non resistette più e prima ancora che Lara potesse venire uscì venendole sulla pancia

«Scusami … scusa … è stato improvviso, non so come mai … era troppo bello» si scusò Mario cercando un fazzoletto

«Non ti preoccupare, non ti preoccupare, è stato bello. Vieni qui» cercò di rassicurarlo lei e tese le sue braccia verso di lui per abbracciarlo. Si misero uno accanto all’altro nudi, finchè il respiro non si quietò. Guardavano entrambi nel vuoto, persi in mille pensieri, senza sapere cosa dire. Ogni tanto sospiravano e si stringevano forte.

La campana della chiesa lì vicino iniziò a suonare. Mezzanotte.

«E’ domani. Forse è meglio tu vada in camera tua. Se rimani qui non riuscirò a mandarti via e finirà che dormiremo insieme e domani saremo punto e a capo. Ricordati, lo facciamo per noi». Disse lei con un velo di tristezza ma anche in tono apparentemente freddo.

Per Mario fu un pugno nello stomaco. Doversene andare dal suo letto, quello che pochi mesi prima avevano comprato insieme perché fosse il loro nido. Si alzò nudo senza sapere neanche bene che dire. Si voltò verso di lei che si era rannicchiata nelle coperte.

«Buonanotte amore» le disse

«Buonanotte … Mario» rispose Lara. Mario si sentì sprofondare e si incamminò nella stanza a fianco. In quello che era lo studio e che ora era diventata camera sua. Crollo sul divano letto, senza neanche aprirlo e senza riuscire a chiudere occhio tutta la notte.

Ogni tanto era come se si svegliasse di soprassalto preso da un’ansia insostenibile e voleva correre di là da lei, dirle che stavano sbagliando, che sarebbe stato un disastro. Ma no, sarebbe stato difficile, ora come ora per lui impensabile, ma ce l’avrebbero fatta, come erano riusciti a superare tutto. Sarebbero stati più forti della crisi.
 

SCENA 3​

Non so come ne sarebbero usciti ma ce l’avrebbero fatta. Mario sapeva solo che nel mentre tutto sembrava un inferno. Cercavano di non darsi troppa confidenza, di non perdersi in chiacchiere. Facevano di tutto per cercare di evitarsi per non ricadere l’uno tra le braccia dell’altro. Ma non era facile. I primi giorni se Lara era in salotto Mario si chiudeva nello studio, mentre quando Lara andava in camera Mario riprendeva possesso del resto della casa. Si davano un saluto ogni tanto, niente domande, niente programmi. Era maledettamente difficile.

Finalmente una sera Mario decise di provare a uscire. Chiamò Matteo e si diedero appuntamento al GIN pub come al solito. Magari fare due chiacchiere con un amico l’avrebbe aiutato.

Il pub era un vecchio locale in mattoni scuri e legno consumato. Luci soffuse proiettavano ombre morbide sui tavoli graffiati, mentre voci e risate si sovrapponevano alla musica rock che usciva dai diffusori. L’odore di birra e fritto impregnava l’aria, denso e familiare.

Mario fissava il boccale davanti a sé, la schiuma che si scioglieva lentamente come un’illusione destinata a svanire. Matteo, dall’altra parte del tavolo, si passò una mano tra i capelli castani e scosse la testa.

«Non ci credo, amico. Stai davvero dicendo che vivete insieme, ma come due coinquilini?»

Mario sollevò lo sguardo e strinse le spalle, come se il peso della situazione gli fosse appena scivolato lungo la schiena. «Sì, è l’unica cosa che possiamo fare adesso. Andarsene sarebbe troppo complicato. E poi… quella è casa nostra.»

Matteo lo fissò incredulo. «Casa vostra? È un purgatorio, altro che casa.» Fece un sorso di birra e aggiunse, più serio: «Mario, stai giocando col fuoco. Sai cosa significa questa pausa? Che lei è libera di uscire. E non dirmi che non lo sai.»

Mario deglutì. Sentiva le parole dell’amico come aghi sotto pelle. Guardò il boccale, poi gli occhi scuri di Matteo, che erano pieni di una preoccupazione che lui non voleva vedere.

«Lo so,» rispose piano. «Ma se è quello che serve per farci ritrovare… ne vale la pena. Matteo io la amo perdutamente, sarei disposto a fare qualunque cosa pur di vederla felice e tornare insieme.»

Matteo fece un gesto con la mano, come a spazzare via l’ingenuità di quell’affermazione. «Sei pazzo. Lei è giovane, è bellissima. Ti rendi conto di quanti le correranno dietro? E se lei ci sta? Ci hai pensato?»

Mario sentì una fitta allo stomaco. La sua mente proiettò un’immagine improvvisa e dolorosa di Lara che rideva con uno sconosciuto, le labbra curve in quel sorriso che una volta era solo suo. Un brivido gli scivolò lungo la schiena. Paura, gelosia… e qualcosa di più oscuro, più profondo, una scintilla proibita di eccitazione che lo fece sussultare.

«Se… se qualcuno ci prova con lei?» sussurrò, come se stesse parlando a se stesso.

Matteo lo fissò con occhi accigliati. «E se lei risponde? Se è quello che sta aspettando? Una scusa per lasciarsi andare, per dire che è successo mentre eravate ‘in pausa’? Non puoi controllarla, Mario. E non puoi impedirti di soffrire quando succederà.»

Mario chiuse gli occhi per un attimo. La testa gli pulsava. «Non è così semplice. Non lo farebbe mai..»

«Sì, invece,» ribatté Matteo. «Sei ancora innamorato di lei. E sei troppo orgoglioso per ammettere che questa pausa è una resa. Un’inutile anticamera alla separazione. Sai già come andrà a finire»

Mario prese il telefono dalla tasca. Lo schermo rifletteva la luce fioca del locale. Con le dita tremanti, aprì la chat con Lara. Non le scriveva da quando avevano deciso di separare i loro spazi. Il pollice esitò sulla tastiera, poi digitò rapidamente:

Come stai? Dove sei?

Premette “Invia” e sentì il cuore accelerare. Non ci volle molto prima che la risposta arrivasse. Uno squillo breve, una vibrazione secca. Il messaggio di Lara apparve come una lama sullo schermo:

Non devi sapere sempre dove sono. Siamo in pausa, ricordi? Non mi stare addosso
Sto uscendo a bere con delle amiche.


Gli occhi di Mario si spalancarono. Sentì un gelo diffondersi sul petto, mentre una fiamma sottile e malata gli bruciava dentro. Il terrore si annodava con qualcosa di viscido e primitivo: l’idea che Lara fosse fuori, che qualcuno potesse notare i suoi capelli dorati, il suo corpo forte e morbido, il modo che aveva di ridere con le mani quasi a coprirsi il volto. L’idea che un altro potesse desiderarla… e forse toccarla.

Gli tremavano le mani mentre poggiava il telefono sul tavolo. Matteo lo guardò scuotendo la testa. «Te l’avevo detto. Questa storia finirà male.»

Mario prese un respiro profondo, cercando di controllare il battito accelerato. «Forse,» ammise. «Ma devo provare. Lo dobbiamo a noi.»

Matteo sbuffò, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Se hai bisogno di qualcuno che ti ricordi quanto sei idiota, sai dove trovarmi.»

Un sorriso stanco si fece strada sul volto di Mario. «Sei già qui.»

Il vociare del pub continuava attorno a loro, indifferente. E mentre il telefono restava immobile sul tavolo, Mario fissava il display come se aspettasse un altro messaggio. Una spiegazione. O forse una scusa per correre da lei e mettere fine a quella farsa.

SCENA 4​

La casa era silenziosa, un silenzio quasi innaturale dopo il rumore del pub e le parole di Matteo che ancora gli rimbombavano nella testa. Mario chiuse la porta dello studio con un gesto automatico e si lasciò cadere sul divano letto, un sospiro che gli pesava sul petto. Le luci erano spente, e l’unica fonte di chiarore era il lampione fuori dalla finestra che proiettava ombre tremolanti sul soffitto.

Si passò una mano tra i capelli scuri e fissò il vuoto, ma i pensieri non tardarono ad assalirlo. Il suo cervello era una giostra impazzita che continuava a tornare su di lei. Lara. Era là fuori, tra la musica e le luci soffuse di qualche locale, mentre lui era qui, da solo, intrappolato nella loro "pausa". In attesa.

Immaginò la scena senza volerlo. Lara che entra in un bar con il suo gruppo di amiche, i capelli biondi sciolti lungo la schiena come un invito. Indossa quella maglietta bianca scollata che le sfiora appena le curve. Quegli occhi verdi che, anche se velati di malinconia, attirano ancora sguardi come calamite.

Un ragazzo la nota. Alto, sicuro di sé. La osserva da lontano, sorseggiando il suo drink con calma, il sorriso appena accennato. Le amiche di Lara ridono e scherzano, ma poi, con un’occhiata complice, qualcuna le dà una spinta leggera verso di lui. Mario riesce quasi a sentire la voce di una di loro: “Vai, dai. Non ti farà male parlare un po’ con qualcuno. E’ quello di cui hai bisogno.”

Lara esita per un istante, poi fa un passo avanti. Lo sconosciuto le sorride, la invita a sedersi vicino a lui. Le parole si intrecciano facili, troppo facili. La sua risata cristallina, che lui conosce così bene, esplode in quel locale, e Mario si sente come se quella risata gli stesse venendo strappata via.

Chiude gli occhi, ma le immagini diventano più vivide. L’uomo le sfiora una gamba sotto il tavolo, un tocco leggero, quasi casuale. Lei non si ritrae. Anzi, sorride, si morde appena il labbro inferiore. Quel gesto che un tempo era solo per lui. La sua pelle si scalda, e Mario sente il cuore accelerare, il respiro che si fa irregolare.

Immagina le mani di quell’uomo che le scostano una ciocca di capelli dal viso, le dita che sfiorano il collo, la nuca. Lara inclina leggermente la testa, come a offrirsi di più. Gli occhi di quell’uomo si perdono nei suoi, e poi, lentamente, si avvicina. Le loro labbra si sfiorano, prima con cautela, poi con più decisione. Lara ricambia il bacio, le mani che salgono sulle spalle di lui.

No, no, no. Non può andare così. Un brivido gli attraversa la schiena come una scossa elettrica. Dolore e desiderio si mescolano in un vortice impossibile da districare. Si tira su e afferra la bottiglia di grappa alla liquirizia che tiene sul mobile. Ne beve un sorso lungo, il sapore dolciastro e pungente gli scivola giù per la gola come un coltello caldo. Il calore dell’alcol si diffonde nel petto, ma non spegne il fuoco che gli brucia dentro.

La mente torna su quell’immagine. Lara che si abbandona al tocco di qualcun altro. Un altro che non è lui.

Una fitta di gelosia gli stringe lo stomaco, ma è accompagnata da un’eccitazione feroce, irrazionale. Un desiderio di possederla, di reclamarla, e allo stesso tempo di lasciarla libera di scivolare via, solo per poterla desiderare ancora di più. Lara che ride. Lara che si lascia andare.

La mano scivola lungo il ventre, mentre il respiro si fa più profondo. Chiude gli occhi e si perde nella fantasia, lasciandosi trascinare da quell’ondata di emozioni contrastanti. Il cuore martella forte, e per un attimo non esiste altro che il buio della stanza e le immagini che si rincorrono nella sua mente.

Mario si accarezza, lo prende in mano rigido, a tradire la sua eccitazione. Ha bisogno di mandarla via. La sua mano si muove ritmicamente. La sua testa viaggia sulle immagini che ha costruito. Lara. Un altro. Pochi secondi e sente l’orgasmo arrivare incontrollato. Sta venendo immaginando lei con un altro.
 

SCENA 3​

Non so come ne sarebbero usciti ma ce l’avrebbero fatta. Mario sapeva solo che nel mentre tutto sembrava un inferno. Cercavano di non darsi troppa confidenza, di non perdersi in chiacchiere. Facevano di tutto per cercare di evitarsi per non ricadere l’uno tra le braccia dell’altro. Ma non era facile. I primi giorni se Lara era in salotto Mario si chiudeva nello studio, mentre quando Lara andava in camera Mario riprendeva possesso del resto della casa. Si davano un saluto ogni tanto, niente domande, niente programmi. Era maledettamente difficile.

Finalmente una sera Mario decise di provare a uscire. Chiamò Matteo e si diedero appuntamento al GIN pub come al solito. Magari fare due chiacchiere con un amico l’avrebbe aiutato.

Il pub era un vecchio locale in mattoni scuri e legno consumato. Luci soffuse proiettavano ombre morbide sui tavoli graffiati, mentre voci e risate si sovrapponevano alla musica rock che usciva dai diffusori. L’odore di birra e fritto impregnava l’aria, denso e familiare.

Mario fissava il boccale davanti a sé, la schiuma che si scioglieva lentamente come un’illusione destinata a svanire. Matteo, dall’altra parte del tavolo, si passò una mano tra i capelli castani e scosse la testa.

«Non ci credo, amico. Stai davvero dicendo che vivete insieme, ma come due coinquilini?»

Mario sollevò lo sguardo e strinse le spalle, come se il peso della situazione gli fosse appena scivolato lungo la schiena. «Sì, è l’unica cosa che possiamo fare adesso. Andarsene sarebbe troppo complicato. E poi… quella è casa nostra.»

Matteo lo fissò incredulo. «Casa vostra? È un purgatorio, altro che casa.» Fece un sorso di birra e aggiunse, più serio: «Mario, stai giocando col fuoco. Sai cosa significa questa pausa? Che lei è libera di uscire. E non dirmi che non lo sai.»

Mario deglutì. Sentiva le parole dell’amico come aghi sotto pelle. Guardò il boccale, poi gli occhi scuri di Matteo, che erano pieni di una preoccupazione che lui non voleva vedere.

«Lo so,» rispose piano. «Ma se è quello che serve per farci ritrovare… ne vale la pena. Matteo io la amo perdutamente, sarei disposto a fare qualunque cosa pur di vederla felice e tornare insieme.»

Matteo fece un gesto con la mano, come a spazzare via l’ingenuità di quell’affermazione. «Sei pazzo. Lei è giovane, è bellissima. Ti rendi conto di quanti le correranno dietro? E se lei ci sta? Ci hai pensato?»

Mario sentì una fitta allo stomaco. La sua mente proiettò un’immagine improvvisa e dolorosa di Lara che rideva con uno sconosciuto, le labbra curve in quel sorriso che una volta era solo suo. Un brivido gli scivolò lungo la schiena. Paura, gelosia… e qualcosa di più oscuro, più profondo, una scintilla proibita di eccitazione che lo fece sussultare.

«Se… se qualcuno ci prova con lei?» sussurrò, come se stesse parlando a se stesso.

Matteo lo fissò con occhi accigliati. «E se lei risponde? Se è quello che sta aspettando? Una scusa per lasciarsi andare, per dire che è successo mentre eravate ‘in pausa’? Non puoi controllarla, Mario. E non puoi impedirti di soffrire quando succederà.»

Mario chiuse gli occhi per un attimo. La testa gli pulsava. «Non è così semplice. Non lo farebbe mai..»

«Sì, invece,» ribatté Matteo. «Sei ancora innamorato di lei. E sei troppo orgoglioso per ammettere che questa pausa è una resa. Un’inutile anticamera alla separazione. Sai già come andrà a finire»

Mario prese il telefono dalla tasca. Lo schermo rifletteva la luce fioca del locale. Con le dita tremanti, aprì la chat con Lara. Non le scriveva da quando avevano deciso di separare i loro spazi. Il pollice esitò sulla tastiera, poi digitò rapidamente:

Come stai? Dove sei?

Premette “Invia” e sentì il cuore accelerare. Non ci volle molto prima che la risposta arrivasse. Uno squillo breve, una vibrazione secca. Il messaggio di Lara apparve come una lama sullo schermo:

Non devi sapere sempre dove sono. Siamo in pausa, ricordi? Non mi stare addosso
Sto uscendo a bere con delle amiche.


Gli occhi di Mario si spalancarono. Sentì un gelo diffondersi sul petto, mentre una fiamma sottile e malata gli bruciava dentro. Il terrore si annodava con qualcosa di viscido e primitivo: l’idea che Lara fosse fuori, che qualcuno potesse notare i suoi capelli dorati, il suo corpo forte e morbido, il modo che aveva di ridere con le mani quasi a coprirsi il volto. L’idea che un altro potesse desiderarla… e forse toccarla.

Gli tremavano le mani mentre poggiava il telefono sul tavolo. Matteo lo guardò scuotendo la testa. «Te l’avevo detto. Questa storia finirà male.»

Mario prese un respiro profondo, cercando di controllare il battito accelerato. «Forse,» ammise. «Ma devo provare. Lo dobbiamo a noi.»

Matteo sbuffò, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Se hai bisogno di qualcuno che ti ricordi quanto sei idiota, sai dove trovarmi.»

Un sorriso stanco si fece strada sul volto di Mario. «Sei già qui.»

Il vociare del pub continuava attorno a loro, indifferente. E mentre il telefono restava immobile sul tavolo, Mario fissava il display come se aspettasse un altro messaggio. Una spiegazione. O forse una scusa per correre da lei e mettere fine a quella farsa.

SCENA 4​

La casa era silenziosa, un silenzio quasi innaturale dopo il rumore del pub e le parole di Matteo che ancora gli rimbombavano nella testa. Mario chiuse la porta dello studio con un gesto automatico e si lasciò cadere sul divano letto, un sospiro che gli pesava sul petto. Le luci erano spente, e l’unica fonte di chiarore era il lampione fuori dalla finestra che proiettava ombre tremolanti sul soffitto.

Si passò una mano tra i capelli scuri e fissò il vuoto, ma i pensieri non tardarono ad assalirlo. Il suo cervello era una giostra impazzita che continuava a tornare su di lei. Lara. Era là fuori, tra la musica e le luci soffuse di qualche locale, mentre lui era qui, da solo, intrappolato nella loro "pausa". In attesa.

Immaginò la scena senza volerlo. Lara che entra in un bar con il suo gruppo di amiche, i capelli biondi sciolti lungo la schiena come un invito. Indossa quella maglietta bianca scollata che le sfiora appena le curve. Quegli occhi verdi che, anche se velati di malinconia, attirano ancora sguardi come calamite.

Un ragazzo la nota. Alto, sicuro di sé. La osserva da lontano, sorseggiando il suo drink con calma, il sorriso appena accennato. Le amiche di Lara ridono e scherzano, ma poi, con un’occhiata complice, qualcuna le dà una spinta leggera verso di lui. Mario riesce quasi a sentire la voce di una di loro: “Vai, dai. Non ti farà male parlare un po’ con qualcuno. E’ quello di cui hai bisogno.”

Lara esita per un istante, poi fa un passo avanti. Lo sconosciuto le sorride, la invita a sedersi vicino a lui. Le parole si intrecciano facili, troppo facili. La sua risata cristallina, che lui conosce così bene, esplode in quel locale, e Mario si sente come se quella risata gli stesse venendo strappata via.

Chiude gli occhi, ma le immagini diventano più vivide. L’uomo le sfiora una gamba sotto il tavolo, un tocco leggero, quasi casuale. Lei non si ritrae. Anzi, sorride, si morde appena il labbro inferiore. Quel gesto che un tempo era solo per lui. La sua pelle si scalda, e Mario sente il cuore accelerare, il respiro che si fa irregolare.

Immagina le mani di quell’uomo che le scostano una ciocca di capelli dal viso, le dita che sfiorano il collo, la nuca. Lara inclina leggermente la testa, come a offrirsi di più. Gli occhi di quell’uomo si perdono nei suoi, e poi, lentamente, si avvicina. Le loro labbra si sfiorano, prima con cautela, poi con più decisione. Lara ricambia il bacio, le mani che salgono sulle spalle di lui.

No, no, no. Non può andare così. Un brivido gli attraversa la schiena come una scossa elettrica. Dolore e desiderio si mescolano in un vortice impossibile da districare. Si tira su e afferra la bottiglia di grappa alla liquirizia che tiene sul mobile. Ne beve un sorso lungo, il sapore dolciastro e pungente gli scivola giù per la gola come un coltello caldo. Il calore dell’alcol si diffonde nel petto, ma non spegne il fuoco che gli brucia dentro.

La mente torna su quell’immagine. Lara che si abbandona al tocco di qualcun altro. Un altro che non è lui.

Una fitta di gelosia gli stringe lo stomaco, ma è accompagnata da un’eccitazione feroce, irrazionale. Un desiderio di possederla, di reclamarla, e allo stesso tempo di lasciarla libera di scivolare via, solo per poterla desiderare ancora di più. Lara che ride. Lara che si lascia andare.

La mano scivola lungo il ventre, mentre il respiro si fa più profondo. Chiude gli occhi e si perde nella fantasia, lasciandosi trascinare da quell’ondata di emozioni contrastanti. Il cuore martella forte, e per un attimo non esiste altro che il buio della stanza e le immagini che si rincorrono nella sua mente.

Mario si accarezza, lo prende in mano rigido, a tradire la sua eccitazione. Ha bisogno di mandarla via. La sua mano si muove ritmicamente. La sua testa viaggia sulle immagini che ha costruito. Lara. Un altro. Pochi secondi e sente l’orgasmo arrivare incontrollato. Sta venendo immaginando lei con un altro.
Complimenti scritto molto bene e trasmetti le emozioni che scrivi anche a chi legge continua
 
Grazie a tutti. Ho quasi pronta la scena 4. Mi rendo conto che non sia un racconto che è prettamente erotico, almeno non ancora, però ho cercato di trasmettere le emozioni, le insicurezze e le incertezze che si possono creare in una situazione assurda e surreale come questa. Tutto è vagamente ispirato alla mia storia, anche se non mi sono mai trovato in una situazione del genere. Forse avrei voluto.
 
SCENA 5
Il buio dello studio era denso, ma Mario non riusciva a sentirsi al sicuro. Si era addormentato di un sonno pesante, trascinato dalla grappa e dal tumulto dei pensieri, ma qualcosa lo aveva svegliato di soprassalto. Un rumore esterno, il suono di una macchina che si fermava nello spiazzo davanti alla villetta.
Istintivamente si alzò, i piedi nudi sul pavimento freddo. Si avvicinò alla finestra, scostando appena la tenda. Le luci dei fari erano accecanti, deformavano le figure. C’era qualcuno alla guida, una sagoma maschile, e Lara era seduta accanto, nel posto del passeggero. Mario sentì il petto stringersi.
Le luci automatiche si spensero, lasciandolo a fissare il buio. Distingueva a malapena le due figure sedute in macchina. Il silenzio si fece pesante, rotto solo dal ticchettio della sua ansia. Si sforzava di vedere, di capire cosa stesse succedendo. Chi era quell’uomo? Da quanto tempo erano lì fermi? Cosa stavano aspettando? “Dai Lara scendi da quella macchina” pensò Mario.
Il tempo sembrava liquido, dilatato. Minuti interminabili in cui Mario si sforzava disperatamente di capire cosa stesse succedendo. Gli sembrò di vedere Lara sporgersi verso l’uomo alla guida. Ma forse no, era troppo buio per riuscire a vedere qualcosa. Poi, finalmente, la portiera del passeggero si aprì. Lara scese con un movimento incerto, i capelli biondi che scivolavano sulle spalle. La voce di un uomo risuonò ovattata nella notte:
— Stai bene? Ce la fai a salire o vuoi che ti accompagni?
Mario trattenne il respiro. Sentì il sorriso nella voce di Lara mentre rispondeva:
— No, no… ce la faccio. Grazie davvero.
Aveva bevuto, si sentiva chiaramente. La sua voce aveva quella dolcezza roca e sfocata di chi è appena un po’ oltre il limite. Poi lei fece un gesto che Mario non poté vedere chiaramente, ma quando l’uomo rispose con un semplice:
— Ci sentiamo domani,
Mario capì.
Lara mandò un bacio con la mano e chiuse la portiera. La macchina ripartì, lasciandola sola davanti alla villetta.Lei lo guardò andare via, rimanendo in piedi con un lieve dondolio. Lui rimase immobile, il respiro spezzato nel petto mentre lei infilava la chiave nella toppa. La porta si aprì e Lara entrò.
Dal suo studio al primo piano, Mario aveva una vista perfetta sull’ingresso. Vide Lara chiudere la porta dietro di sé e appoggiarvisi con la schiena. I capelli le coprivano il viso, ma le sue mani salirono lentamente a stringersi nelle ciocche dorate, come a trattenere un pensiero, una sensazione. Poi abbassò le mani e, improvvisamente, rise piano. Una risata leggera, elettrizzata, carica di qualcosa che lui non riusciva a decifrare ma che sentiva come una pugnalata.
Lei barcollò leggermente verso la cucina. Mario si sporse appena di più, il cuore che gli batteva nelle orecchie. Lara prese il cellulare e iniziò a scrivere. Le sue labbra si piegarono in un sorriso. Quel sorriso che lui non vedeva da mesi.
La vide avvicinare il microfono del telefono alla bocca e iniziare a sussurrare qualcosa, ma non riusciva a tenere ferma la voce. Stava inviando un vocale a Giada, la sua amica. Mario cercò di ascoltare di capire. Solo qualche parola spezzata qua e là che rimbombava tra le pareti della casa avvolta nel silenzio:
— Non puoi capire … Giada… tutta la sera a parlare e bere … Divertita … Non crederci … un bacio … Dio, non puoi capire … Mi sento … avevo bisogno … tutto assurdo … Domani
La gola di Mario si chiuse. Le parole rimbombarono nella sua testa come macigni. Un bacio. Cosa voleva dire? Si sono baciati? Voleva darle un bacio? O voleva lei? Le immagini che aveva immaginato qualche ora prima si sovrapposero alla realtà, crude e senza controllo. La sua Lara, tra le braccia di un altro. E lei era felice. Rideva, si sentiva viva. Avevo bisogno.
Si ritrasse di scatto, il sudore freddo sulla schiena. Tornò verso il divano letto, cercando di respirare piano. Il rumore dei passi di Lara sulle scale lo fece irrigidire. Si sdraiò di fretta, chiudendo gli occhi, fingendo un sonno profondo.
Sentì i passi fermarsi davanti alla porta dello studio. Il suo respiro era lento, controllato con uno sforzo immane. Sapeva che Lara era lì, in piedi, forse guardandolo. Un’eternità sospesa tra loro. Lei entrò nella stanza, muovendosi piano piano, si avvicinò a lui guardandolo dormire e gli diede un bacio sulla guancia. Mario non si mosse continuando a fingere di dormire. Sentì lei rialzarsi e i suoi passi che si allontanavano fino ad udire la porta del bagno chiudersi a chiave dietro di lei.
Mario aprì gli occhi nel buio, sentendo un vuoto infinito spalancarsi dentro di sé, immobile sul divano letto senza sapere come reagire, gli occhi fissi sul soffitto avvolto nel buio. Ogni fibra del suo corpo era tesa come una corda di violino, i muscoli rigidi, le mani serrate in pugni involontari. Il silenzio della casa sembrava amplificare ogni suono. Sforzandosi di ascoltare, percepì un lieve ronzio provenire dal bagno. Un suono appena udibile. Si alzò cercando di non fare rumore e si avvicinò alla porta del bagno. Il ronzio era più intenso ed era interrotto da respiri rapidi e spezzati. Oddio si stava masturbando con il suo giochino. La mente iniziò a sussurrare scenari che non voleva considerare. Cercò di fermarsi, di allontanare quei pensieri, ma erano già lì, nitidi e crudeli. Era tentato di guardare dalla serratura ma temeva di fare troppo rumore.
Rimase lì inerme ascoltando Lara che in bagno cercava il suo piacere. Mario iniziò a toccarsi anche lui, chiuso fuori dalla porta del bagno, mescolandosi al piacere di lei. Lei che si masturbava pensando a cosa? Al ragazzo della macchina? Lara che cercava piacere perché carica di eccitazione per la serata passata fuori. Mario che pensava a loro due insieme. Sentì provenire dal bagno un gemito strozzato e poi il click del pulsante del giochino di Lara. Cercando di non far rumore ritornò a letto, ancora eccitato per la situazione assurda che si era creata. Respirò profondamente e si girò su un fianco, tentando di ignorare quella tortura mentale. Dopo qualche minuto, sentì la porta del bagno aprirsi. I passi di Lara erano leggeri, esitanti. La sentii fermarsi poco fuori dal bagno, tra le stanze. Nel buio, Mario udì un sussurro:
— Buonanotte.
La voce era dolce, appena percettibile, come una carezza. Ma a chi era rivolta? A lui? Oppure a qualcun altro? un messaggio vocale inviato a qualcuno? L’incertezza gli scavò un solco nello stomaco. Il rumore della porta della camera di Lara che si chiudeva risuonò come un sigillo definitivo.
Mario chiuse gli occhi, ma l’oscurità dietro le palpebre era popolata da fantasmi. Immagini di Lara che rideva con un altro, le sue labbra che si curvavano in quel sorriso che lui amava, ora rivolto a un estraneo. Vedeva mani che non erano le sue sfiorare le braccia di Lara, scivolare lungo la sua schiena, intrecciarsi nei suoi capelli. Vedeva quel viso che una volta cercava solo il suo, ora sollevato verso un altro uomo, pronto a un bacio che non era per lui.
Il dolore nel petto si mescolava a una eccitazione perversa, un tormento che non riusciva a scrollarsi di dosso. Ogni scena immaginata si faceva sempre più dettagliata: Lara che si lasciava cadere su un letto sconosciuto, il corpo che si inarcava sotto un altro, i sospiri che lui aveva imparato a conoscere ora dedicati a qualcun altro.
Cercò di scacciare quelle visioni, ma erano come onde che si infrangevano sulla sua mente senza sosta. Si girava e rigirava, le lenzuola che si attorcigliavano attorno a lui come catene. Riprese in silenzio a masturbarsi mentre flash di immagini rimbombavano nella sua testa. Aveva ancora in testa gli ansimi di Lara chiusa in bagno a cercare un piacere solo suo. Venne. Stremato e si sentii crollare.
Finalmente, in un momento di stanchezza estrema, scivolò in un sonno tormentato. Ma gli incubi lo aspettavano lì, pronti ad assalirlo. Vide Lara avvolta tra le braccia di un ragazzo che non riconosceva, i capelli sparsi sul cuscino, il viso illuminato da un sorriso radioso, libero. La sentì ridere, gemere, la vide muoversi con un’intimità che una volta apparteneva solo a loro. Voleva gridare, fermarla, ma era paralizzato.
Si svegliò di colpo, il respiro affannoso, il petto umido di sudore. La stanza era fredda e desolata. La notte sembrava eterna. Chiuse di nuovo gli occhi, sfinito, solo per sprofondare in nuovi incubi. Ogni volta si svegliava più esausto, più svuotato.
Quando infine il buio cominciò a stemperarsi nei primi accenni di luce del mattino, Mario giaceva sul divano letto, lo sguardo fisso nel vuoto, le palpebre pesanti. Non c’era riposo, solo un vuoto che pulsava sotto la pelle, un senso di perdita che gli aveva prosciugato ogni energia.
 
Bellissimo…tragico per lui

Sì, i primi tempi ovviamente c'è molta tragedia. Le sensazione e i sentimenti si mescolano. Tutto è inaspettato e lui non sa neanche bene gestire le emozioni che gli arrivano addosso. Siamo solo all'inizio di qualcosa che non sa gestire
Ora tutto diventa più difficile. Ho pronte le bozze per le prossime scene ma devo ancora lavorarci. E poi pensare come farla andare avanti
 
Ma qualcuno sa se c'è modo di cambiare il titolo? Pensavo di fare un post per gruppi di scene ma è più facile così ma è rimasto il titolo sbagliato
 
Complimenti @felixquinn
Non so se sottoscriverò questo racconto.
Già dai primi capitoli è una mazzata a livello sia mentale che cerebrale,se leggo qualche racconto di questo genere,come dicevo lascio,lascio perché la mia sensibilità mi porta ad immedesimarmi nel personaggio e, non mi fa stare bene per niente
Mi auguro veramente che sia un racconto di fantasia
Un abbraccio sincero
Giulio
 
Grazie per i complimenti. Capisco quello che intendi. Non mi andava di fare un racconto troppo leggero, irrealistico. Il percorso non è tutto rosa e fiori e spesso le sensazioni sono contrastanti. Il racconto è di fantasia ma piccoli episodi, situazioni, sono momenti reali romanzati. E una piccola parte di me avrebbe voluto andasse così rispetto a com'è andata.
Spero di riuscire ad alleggerirlo un po' con l'andare delle scene
 
SCENA 6
La cucina era avvolta da una luce fredda del mattino, quella luce che faceva sembrare tutto più nitido e spietato. Mario era seduto al tavolo, una tazza di caffè ormai freddo tra le mani. Gli occhi segnati dalle occhiaie raccontavano di una notte passata a combattere con pensieri che non si placavano. Cosa provava? Perché si sentiva così?
Da un lato si sentiva ferito, non avrebbe mai pensato che una pausa significasse questo. O per lo meno la paura c’era, ma non pensava si sarebbe materializzata così prepotentemente. Si sentiva tradito. Anche se questa parola applicata alla pausa forse non aveva molto senso.
Dall’altro vedere Lara felice, raggiante, elettrizzata, era bellissimo. L’amava perdutamente. Negli ultimi mesi vedeva lo sguardo malinconico, a volte spento, nei suoi occhi. Ora sembrava come se questo velo fosse lentamente scomparso. E vederla felice faceva sentire meglio un angolo della sua mente.
Infine c’era l’aspetto più oscuro. L’eccitazione. Quella forza che spingeva dal basso ventre. Quel mescolarsi di emozioni che dal petto scendevano all’inguine e gli procurava un’erezione incredibile. Perché l’idea di lei con un altro lo eccitava così. Non riusciva a spiegarselo.
Mentre Mario era così avvolto nei suoi pensieri Lara entrò con passo lento, una mano appoggiata alla tempia. Aveva i capelli ancora leggermente arruffati e una maglietta bianca che le cadeva morbida sulle spalle. Sembrava riposata, ma il suo viso tradiva un leggero malessere. Era quel mal di testa tipico del dopo sbornia, ma a confronto con il tormento di Mario, sembrava una sciocchezza.
«Buongiorno, » mormorò lei, dirigendosi verso la macchinetta del caffè.
Mario sollevò appena lo sguardo. La voce gli uscì più roca di quanto volesse.
« Ciao. Come... com’è andata ieri sera? Ti sei divertita? »
Lara si fermò un istante, la schiena ancora rivolta a lui. Una risata le sfuggì dalle labbra, breve e un po' tesa. Si voltò lentamente, lo sguardo verde che si abbassò sulla tazza di caffè appena preparata.
« Mario, » disse con una punta di esasperazione, « non voglio sentirmi controllata. Siamo in pausa, no? Ho bisogno di sentirmi libera. Di lasciarmi guidare dai miei pensieri, di respirare. Sto cercando di concentrarmi su di me. Non mi chiedere in continuazione dove sono, cosa faccio, con chi sono. Rendi tutto più difficile. »
Mario abbassò lo sguardo sulla superficie scura del suo caffè. Le sue dita giocherellavano con il manico della tazza, quasi volessero aggrapparsi a qualcosa di concreto.
« Lo fai per noi, » ripeté a bassa voce, come se stesse cercando di convincersene.
« Sì, lo faccio per noi. Lo dobbiamo fare per noi » rispose Lara con una fermezza gentile. « Lo so che è difficile, ma devo farlo. Per noi. »
Il silenzio tra loro si fece spesso, pieno di cose non dette, di domande che a Mario bruciavano sulla lingua. Voleva chiederle se davvero quella libertà significasse stare con altri, se era pronta a cancellare cinque anni con un bacio di una sera. Se voleva spingersi oltre. Voleva mettere dei paletti o capire se c’erano dei paletti. Ma il timore di spezzare quel fragile equilibrio lo trattenne.
Lei lo guardò per un momento, poi, con un tono più leggero, disse:
« Mario, dovresti farlo anche tu. Esci, divertiti. Non restare chiuso qui a rimuginare. Non ti porterà da nessuna parte continuare ad arrovellarti. Vivi il momento. »
Mario annuì lentamente, ma era un gesto vuoto. Non riusciva a immaginare di divertirsi lontano da lei. Non riusciva neppure a immaginare un’altra persona che potesse interessargli.
« Comunque sì, sono stata bene. Era tempo che non mi sentivo così. Sono sicura che tutto questo mi aiuterà. Ci aiuterà. Fidati di me. »
Fidarsi. Fidarsi di cosa si chiedeva Mario. Il suo stomaco in subbuglio si contorceva a ogni parola di Lara che sembrava tranquilla. Un po’ distante, distaccata. Ma nonostante tutto serena. Come poteva esserlo.
Lara finì il suo caffè, poi si alzò prendendo la borsa e si diresse verso il piano di sopra per prepararsi e andare a lavorare. Mario la vide salire, i suoi capelli biondi ondeggiare lungo la sua schiena. Dio quanto la desiderava, quanto era bella, non smetteva di perdersi nel guardarla. La vide entrare in camera e chiudere la porta dietro di sé.
Mario tornò a perdersi nei suoi pensieri. Forse aveva ragione lei, questa pausa doveva riuscire a rigenerarli, era come entrare in un universo parallelo in cui non erano veramente loro. Cioè erano loro ma altri. E questo li avrebbe aiutati a crescere. Sì, a crescere pensò Mario. Ma in che modo? A che prezzo? “Non voglio sentirmi controllata”, fosse facile. Controllata. Mario non voleva controllarla, ma osservarla. Il non sapere lo uccideva. Lasciare spazio all’immaginazione, alla fantasia, lo faceva andare fuori di testa. Sentiva il bisogno della realtà, per quanto dura fosse.
Continuò a perdersi nei suoi pensieri senza quasi rendersi conto del tempo che passava.
« Ma sei ancora in pigiama? Non vai in ufficio? » Chiese Lara affacciandosi dalla cima delle scale e sporgendosi verso il basso per vedere la cucina. I suoi capelli biondi scendevano lungo il parapetto, Mario rimase lì a guardare quasi imbambolato.
« No hai ragione. Ora vado, oggi arriverò più tardi »
Lei scese le scale, si fermò sulla soglia della cucina, guardandolo con un sorriso che voleva essere incoraggiante ma che a lui parve distante.
« Buona giornata, » disse. Poi, dopo una pausa, aggiunse con un sorriso appena accennato: « Coinquilino. »
Mario strinse le labbra in una smorfia involontaria.
« Scherzo, dai, cerchiamo di vivere tutto con leggerezza. Sorridi» disse lei quasi ridacchiando.
Prima di voltarsi, gli mandò un bacio con la mano, lo stesso gesto che aveva fatto la sera prima con lo sconosciuto. Il cuore di Mario si strinse, ma lei non lo notò. Si girò e uscì di casa con un passo leggero.
La porta si chiuse e il silenzio cadde di nuovo sulla casa. Mario rimase seduto, con quella scena che si ripeteva nella mente come un’eco.

SCENA 7
Mario sentiva il peso dei pensieri schiacciarlo, come se ogni minuto aggiungesse un altro macigno sul petto. Hai voglia a dire di prendere tutto alla leggera, di sorridere. Si guardò intorno, i suoi occhi a vagare in quella casa. Ogni angolo, ogni mobile parlava di Lara, di loro, di ciò che erano stati e di ciò che ora si stava sgretolando. Il divano che avevano scelto, quel piccolo vaso che avevano trovato ad un mercatino, il quadretto con i fiori preso in montagna. La loro vita assieme finora.
Mario si alzò, si muoveva lentamente. Sciacquò la tazza del caffè. La sua e quella di Lara che l’aveva lasciata nel lavello. Si lasciò andare a un lieve sorriso, in pausa sì ma i piatti continuava a lavarli lui come al solito. Certe cose non cambiavano mai.
Salì le scale e camminò verso quella che un tempo era la loro camera da letto. La porta era socchiusa. Entrò lentamente, come un estraneo che si avventurava in un territorio ormai proibito. Ma era casa sua cazzo. La luce del mattino filtrava dalle persiane, disegnando linee oblique sul pavimento e sul letto ancora sfatto. Si avvicinò, inspirando a fondo. Il pigiama di Lara era ancora lì, gettato con noncuranza. Lo prese tra le mani, lo avvicinò al viso. Quel profumo, misto di shampoo all’albicocca e della sua pelle, lo trafisse come una lama sottile. Gli mancava. Gli mancava terribilmente. Stava per mettersi a rifare il letto ma si fermò, non poteva, lei forse l’avrebbe visto come un’invasione del suo spazio, della sua camera.
Si sedette sul bordo del letto, le dita che stringevano il tessuto come se potessero riportare indietro il tempo. Si guardò attorno: le foto che un tempo erano sui comodini erano sparite. Non una traccia di loro due insieme. La stanza si stava trasformando, stava diventando la stanza di Lara, solo di Lara. Un luogo in cui lui non aveva più un posto. Sentii la testa iniziare a girare, la paura lo attanagliava. Aspettò qualche minuto prima di decidersi ad andare in bagno per iniziare a lavarsi. Aveva bisogno di acqua fresca sulla faccia, sì questo l’avrebbe fatto riprendere.
Entrò in bagno e si spogliò, si sciacquò la faccia con acqua fresca guardandosi poi allo specchio appoggiando entrambe le mani sul lavandino. Aveva lo sguardo provato. Prese la maglietta del pigiama e fece per buttarlo nel cesto della biancheria. Vide le mutandine di Lara. Azzurre. Erano lì, tra altri vestiti. Le sollevò delicatamente, come se stesse maneggiando qualcosa di fragile e proibito. Si fermò un secondo guardandosi intorno, come un ladro che sta per rubare qualcosa. Le avvicinò al viso. L’odore era intenso, intimo, impregnato di umori. Non poteva fare a meno di pensare alla notte precedente. A lei che rideva con un altro. A lei che si sentiva libera, eccitata. Il pensiero lo fece tremare, un misto di rabbia, dolore e un’oscura eccitazione. Ieri sera qualcosa era successo. Qualcosa che l’aveva eccitata, che l’aveva fatta bagnare. Eccitata tanto da volersi procurare piacere chiusa in bagno. Ma cosa?
Il bisogno di sapere lo stava divorando. Doveva sapere cosa stava facendo, cosa stava provando quando non era con lui. Il controllo, una volta perso, sembrava ora l’unica cosa che potesse dargli un po' di sollievo. Voleva uno schiaffo di realtà. Voleva sapere per riuscire a uscire dal vortice in cui si sentiva. Almeno così sperava.
Andò nello studio, aprì una vecchia scatola di accessori. Tra cavi e strumenti dimenticati, trovò il suo vecchio microfono tascabile, quello che usava quando suonava con la chitarra. Lo rigirò tra le mani, “Chissà se funziona ancora” pensò. Cambiò la batteria con mani tremanti, poi controllò la scheda SD. Era vuota. Fece una prova di registrazione. Sembrava funzionare. Provò a metterlo in un punto lontano dello studio, a regolare il volume di registrazione. Sì. Poteva funzionare.
Lo sguardo di Mario si indurì. Un senso di colpa gli attraversò la mente, ma fu spazzato via dall’ansia di sapere. Si alzò, il microfono stretto nel pugno, e tornò nella stanza di Lara. Con passi lenti e silenziosi, si inginocchiò accanto al letto e sollevò appena il materasso. Il cuore gli martellava nel petto, le orecchie ronzavano. Posizionò il microfono sotto il letto, nascosto dall’ombra, quasi invisibile.
Si rialzò, asciugandosi le mani sudate sui jeans. Fece un passo indietro, guardando il letto come se fosse una trappola appena armata.
— Perdonami, — mormorò a bassa voce, più a se stesso che a lei, — ma non posso fare altro —
Poi uscì dalla stanza, chiudendo la porta con un gesto lento e definitivo. Tornò in bagno, finì di lavarsi e di prepararsi ed uscì per andare al lavoro in un ritardo pazzesco e con un lieve tremore di chi ha appena fatto qualcosa che sa essere sbagliato, ma che gli dona una qualche speranza.
 
Il racconto è di fantasia ma piccoli episodi, situazioni, sono momenti reali romanzati. E una piccola parte di me avrebbe voluto andasse così rispetto a com'è andata.
Sarà ma non posso fare a meno di leggerlo,mi immagino gli sviluppi di un uomo che sta perdendo il suo amore"rispetto a com'è andata"realmente
e, forse immagino ma aspetto volentieri altri capitoli
Buon lavoro
 
SCENA 6
La cucina era avvolta da una luce fredda del mattino, quella luce che faceva sembrare tutto più nitido e spietato. Mario era seduto al tavolo, una tazza di caffè ormai freddo tra le mani. Gli occhi segnati dalle occhiaie raccontavano di una notte passata a combattere con pensieri che non si placavano. Cosa provava? Perché si sentiva così?
Da un lato si sentiva ferito, non avrebbe mai pensato che una pausa significasse questo. O per lo meno la paura c’era, ma non pensava si sarebbe materializzata così prepotentemente. Si sentiva tradito. Anche se questa parola applicata alla pausa forse non aveva molto senso.
Dall’altro vedere Lara felice, raggiante, elettrizzata, era bellissimo. L’amava perdutamente. Negli ultimi mesi vedeva lo sguardo malinconico, a volte spento, nei suoi occhi. Ora sembrava come se questo velo fosse lentamente scomparso. E vederla felice faceva sentire meglio un angolo della sua mente.
Infine c’era l’aspetto più oscuro. L’eccitazione. Quella forza che spingeva dal basso ventre. Quel mescolarsi di emozioni che dal petto scendevano all’inguine e gli procurava un’erezione incredibile. Perché l’idea di lei con un altro lo eccitava così. Non riusciva a spiegarselo.
Mentre Mario era così avvolto nei suoi pensieri Lara entrò con passo lento, una mano appoggiata alla tempia. Aveva i capelli ancora leggermente arruffati e una maglietta bianca che le cadeva morbida sulle spalle. Sembrava riposata, ma il suo viso tradiva un leggero malessere. Era quel mal di testa tipico del dopo sbornia, ma a confronto con il tormento di Mario, sembrava una sciocchezza.
«Buongiorno, » mormorò lei, dirigendosi verso la macchinetta del caffè.
Mario sollevò appena lo sguardo. La voce gli uscì più roca di quanto volesse.
« Ciao. Come... com’è andata ieri sera? Ti sei divertita? »
Lara si fermò un istante, la schiena ancora rivolta a lui. Una risata le sfuggì dalle labbra, breve e un po' tesa. Si voltò lentamente, lo sguardo verde che si abbassò sulla tazza di caffè appena preparata.
« Mario, » disse con una punta di esasperazione, « non voglio sentirmi controllata. Siamo in pausa, no? Ho bisogno di sentirmi libera. Di lasciarmi guidare dai miei pensieri, di respirare. Sto cercando di concentrarmi su di me. Non mi chiedere in continuazione dove sono, cosa faccio, con chi sono. Rendi tutto più difficile. »
Mario abbassò lo sguardo sulla superficie scura del suo caffè. Le sue dita giocherellavano con il manico della tazza, quasi volessero aggrapparsi a qualcosa di concreto.
« Lo fai per noi, » ripeté a bassa voce, come se stesse cercando di convincersene.
« Sì, lo faccio per noi. Lo dobbiamo fare per noi » rispose Lara con una fermezza gentile. « Lo so che è difficile, ma devo farlo. Per noi. »
Il silenzio tra loro si fece spesso, pieno di cose non dette, di domande che a Mario bruciavano sulla lingua. Voleva chiederle se davvero quella libertà significasse stare con altri, se era pronta a cancellare cinque anni con un bacio di una sera. Se voleva spingersi oltre. Voleva mettere dei paletti o capire se c’erano dei paletti. Ma il timore di spezzare quel fragile equilibrio lo trattenne.
Lei lo guardò per un momento, poi, con un tono più leggero, disse:
« Mario, dovresti farlo anche tu. Esci, divertiti. Non restare chiuso qui a rimuginare. Non ti porterà da nessuna parte continuare ad arrovellarti. Vivi il momento. »
Mario annuì lentamente, ma era un gesto vuoto. Non riusciva a immaginare di divertirsi lontano da lei. Non riusciva neppure a immaginare un’altra persona che potesse interessargli.
« Comunque sì, sono stata bene. Era tempo che non mi sentivo così. Sono sicura che tutto questo mi aiuterà. Ci aiuterà. Fidati di me. »
Fidarsi. Fidarsi di cosa si chiedeva Mario. Il suo stomaco in subbuglio si contorceva a ogni parola di Lara che sembrava tranquilla. Un po’ distante, distaccata. Ma nonostante tutto serena. Come poteva esserlo.
Lara finì il suo caffè, poi si alzò prendendo la borsa e si diresse verso il piano di sopra per prepararsi e andare a lavorare. Mario la vide salire, i suoi capelli biondi ondeggiare lungo la sua schiena. Dio quanto la desiderava, quanto era bella, non smetteva di perdersi nel guardarla. La vide entrare in camera e chiudere la porta dietro di sé.
Mario tornò a perdersi nei suoi pensieri. Forse aveva ragione lei, questa pausa doveva riuscire a rigenerarli, era come entrare in un universo parallelo in cui non erano veramente loro. Cioè erano loro ma altri. E questo li avrebbe aiutati a crescere. Sì, a crescere pensò Mario. Ma in che modo? A che prezzo? “Non voglio sentirmi controllata”, fosse facile. Controllata. Mario non voleva controllarla, ma osservarla. Il non sapere lo uccideva. Lasciare spazio all’immaginazione, alla fantasia, lo faceva andare fuori di testa. Sentiva il bisogno della realtà, per quanto dura fosse.
Continuò a perdersi nei suoi pensieri senza quasi rendersi conto del tempo che passava.
« Ma sei ancora in pigiama? Non vai in ufficio? » Chiese Lara affacciandosi dalla cima delle scale e sporgendosi verso il basso per vedere la cucina. I suoi capelli biondi scendevano lungo il parapetto, Mario rimase lì a guardare quasi imbambolato.
« No hai ragione. Ora vado, oggi arriverò più tardi »
Lei scese le scale, si fermò sulla soglia della cucina, guardandolo con un sorriso che voleva essere incoraggiante ma che a lui parve distante.
« Buona giornata, » disse. Poi, dopo una pausa, aggiunse con un sorriso appena accennato: « Coinquilino. »
Mario strinse le labbra in una smorfia involontaria.
« Scherzo, dai, cerchiamo di vivere tutto con leggerezza. Sorridi» disse lei quasi ridacchiando.
Prima di voltarsi, gli mandò un bacio con la mano, lo stesso gesto che aveva fatto la sera prima con lo sconosciuto. Il cuore di Mario si strinse, ma lei non lo notò. Si girò e uscì di casa con un passo leggero.
La porta si chiuse e il silenzio cadde di nuovo sulla casa. Mario rimase seduto, con quella scena che si ripeteva nella mente come un’eco.

SCENA 7
Mario sentiva il peso dei pensieri schiacciarlo, come se ogni minuto aggiungesse un altro macigno sul petto. Hai voglia a dire di prendere tutto alla leggera, di sorridere. Si guardò intorno, i suoi occhi a vagare in quella casa. Ogni angolo, ogni mobile parlava di Lara, di loro, di ciò che erano stati e di ciò che ora si stava sgretolando. Il divano che avevano scelto, quel piccolo vaso che avevano trovato ad un mercatino, il quadretto con i fiori preso in montagna. La loro vita assieme finora.
Mario si alzò, si muoveva lentamente. Sciacquò la tazza del caffè. La sua e quella di Lara che l’aveva lasciata nel lavello. Si lasciò andare a un lieve sorriso, in pausa sì ma i piatti continuava a lavarli lui come al solito. Certe cose non cambiavano mai.
Salì le scale e camminò verso quella che un tempo era la loro camera da letto. La porta era socchiusa. Entrò lentamente, come un estraneo che si avventurava in un territorio ormai proibito. Ma era casa sua cazzo. La luce del mattino filtrava dalle persiane, disegnando linee oblique sul pavimento e sul letto ancora sfatto. Si avvicinò, inspirando a fondo. Il pigiama di Lara era ancora lì, gettato con noncuranza. Lo prese tra le mani, lo avvicinò al viso. Quel profumo, misto di shampoo all’albicocca e della sua pelle, lo trafisse come una lama sottile. Gli mancava. Gli mancava terribilmente. Stava per mettersi a rifare il letto ma si fermò, non poteva, lei forse l’avrebbe visto come un’invasione del suo spazio, della sua camera.
Si sedette sul bordo del letto, le dita che stringevano il tessuto come se potessero riportare indietro il tempo. Si guardò attorno: le foto che un tempo erano sui comodini erano sparite. Non una traccia di loro due insieme. La stanza si stava trasformando, stava diventando la stanza di Lara, solo di Lara. Un luogo in cui lui non aveva più un posto. Sentii la testa iniziare a girare, la paura lo attanagliava. Aspettò qualche minuto prima di decidersi ad andare in bagno per iniziare a lavarsi. Aveva bisogno di acqua fresca sulla faccia, sì questo l’avrebbe fatto riprendere.
Entrò in bagno e si spogliò, si sciacquò la faccia con acqua fresca guardandosi poi allo specchio appoggiando entrambe le mani sul lavandino. Aveva lo sguardo provato. Prese la maglietta del pigiama e fece per buttarlo nel cesto della biancheria. Vide le mutandine di Lara. Azzurre. Erano lì, tra altri vestiti. Le sollevò delicatamente, come se stesse maneggiando qualcosa di fragile e proibito. Si fermò un secondo guardandosi intorno, come un ladro che sta per rubare qualcosa. Le avvicinò al viso. L’odore era intenso, intimo, impregnato di umori. Non poteva fare a meno di pensare alla notte precedente. A lei che rideva con un altro. A lei che si sentiva libera, eccitata. Il pensiero lo fece tremare, un misto di rabbia, dolore e un’oscura eccitazione. Ieri sera qualcosa era successo. Qualcosa che l’aveva eccitata, che l’aveva fatta bagnare. Eccitata tanto da volersi procurare piacere chiusa in bagno. Ma cosa?
Il bisogno di sapere lo stava divorando. Doveva sapere cosa stava facendo, cosa stava provando quando non era con lui. Il controllo, una volta perso, sembrava ora l’unica cosa che potesse dargli un po' di sollievo. Voleva uno schiaffo di realtà. Voleva sapere per riuscire a uscire dal vortice in cui si sentiva. Almeno così sperava.
Andò nello studio, aprì una vecchia scatola di accessori. Tra cavi e strumenti dimenticati, trovò il suo vecchio microfono tascabile, quello che usava quando suonava con la chitarra. Lo rigirò tra le mani, “Chissà se funziona ancora” pensò. Cambiò la batteria con mani tremanti, poi controllò la scheda SD. Era vuota. Fece una prova di registrazione. Sembrava funzionare. Provò a metterlo in un punto lontano dello studio, a regolare il volume di registrazione. Sì. Poteva funzionare.
Lo sguardo di Mario si indurì. Un senso di colpa gli attraversò la mente, ma fu spazzato via dall’ansia di sapere. Si alzò, il microfono stretto nel pugno, e tornò nella stanza di Lara. Con passi lenti e silenziosi, si inginocchiò accanto al letto e sollevò appena il materasso. Il cuore gli martellava nel petto, le orecchie ronzavano. Posizionò il microfono sotto il letto, nascosto dall’ombra, quasi invisibile.
Si rialzò, asciugandosi le mani sudate sui jeans. Fece un passo indietro, guardando il letto come se fosse una trappola appena armata.
— Perdonami, — mormorò a bassa voce, più a se stesso che a lei, — ma non posso fare altro —
Poi uscì dalla stanza, chiudendo la porta con un gesto lento e definitivo. Tornò in bagno, finì di lavarsi e di prepararsi ed uscì per andare al lavoro in un ritardo pazzesco e con un lieve tremore di chi ha appena fatto qualcosa che sa essere sbagliato, ma che gli dona una qualche speranza.
È stato un grande errore per lui rimanere a casa e fare il coinquilino mentre lei si concede le sue storie. Come ha detto lei anche lui dovrebbe uscire e farsi le sue storie per il futuro, anche perché questo tipo di strada è un errore che non porta da nessuna parte. Lui sta male mentre lei si diverte e questo è significativo
 
È stato un grande errore per lui rimanere a casa e fare il coinquilino mentre lei si concede le sue storie. Come ha detto lei anche lui dovrebbe uscire e farsi le sue storie per il futuro, anche perché questo tipo di strada è un errore che non porta da nessuna parte. Lui sta male mentre lei si diverte e questo è significativo
Assolutamente, visto freddamente da fuori è assolutamente sacrosanto dire che sia stato un errore. Glielo dice anche il suo amico. Ma non sempre si riescono a fare le cose razionalmente. Ogni tanto siamo mossi da qualcosa di diverso, più profondo e istintivo
 
Si ma gli rimane un minimo di controllo,sicuramente con "tribolazioni da incubo"ma ce l'ha,l'idea di mettere un microfono sotto il materasso apre mondi inediti e anche molte certezze a lui ora negate
 

SCENA 8​

I giorni successivi passarono lenti, in una routine tesa e silenziosa. Le loro vite sembravano scorrere su binari paralleli, che solo saltuariamente per brevi istanti si incrociavano. Ogni mattina, Mario e Lara si salutavano con un sorriso strano, scambiando brevi frasi sulla giornata lavorativa o sul meteo, come se fossero due conoscenti casuali, non due persone che avevano condiviso anni di vita e un letto. Era strano e loro stessi non sapevano bene come comportarsi. Sapevano che lasciarsi andare troppo avrebbe messo a rischio questo loro tentativo, ma non potevano neanche esagerare sull’essere freddi e lontani, avrebbe stonato rispetto al loro vissuto. Parlavano del più e del meno cercando di sdrammatizzare la situazione in cui si trovavano, si organizzavano per fare la spesa, ridevano a qualcosa di buffo successo in ufficio. Ma entrambi si rendevano conto che il tutto fosse in un equilibrio molto precario.

Mario ogni volta che vedeva Lara andare in palestra ripensava alle volte in cui lei raccontava come Abbas ci provava tutte le volte nonostante sapesse che era fidanzata, o come Valeriu ogni volta che la vedeva iniziasse a seguirla per farsi dare consigli o per darne lui cercando di toccarla o sfiorarla sui fianchi o sulle braccia o di Selam che sembrava sempre parlare male degli altri che gli sembravano dei maiali ma che alla fine anche lui ci provava. E se Lara con questa “pausa” avesse deciso di concedere loro più attenzione? Gli aveva detto che erano in pausa? I loro approci sarebbro stati più insistenti? E ogni volta rimaneva inebetito vedendola uscire con i leggings aderentissimi a fasciarle il culo e rendere evidenti le sue forme e si ritrovava a immaginare ogni possibile scenario. La vedeva fare gli esercizi, con il sudore che le imperlava la fronte colandole pian piano sul petto fasciato dal reggiseno sportivo, lembi di pelle esposta preda degli sguardi di uomini che non vedevano l’ora di provarci. Immaginava mani che la sfioravano, battute equivoche, sguardi ammiccanti e sorrisi ambigui. Sussurri che non poteva sentire. In quegli istanti il sangue gli pulsava nelle tempie ed un misto ti rabbia ed eccitazione contorta si mescolavano confondendolo. E tutte le volte in qualche modo cercava di attendere il suo ritorno per captare qualcosa, per cercare di scoprire quello che gli faceva paura e lo eccitava terribilmente.

Ogni giorno, appena Lara usciva la mattina, Mario trovava un modo per entrare nella sua stanza. Il cuore batteva forte mentre controllava il registratore nascosto sotto il letto: sistemava meglio la posizione per assicurarsi che lei non lo scoprisse, controllava la batteria, recuperava la schedina SD e copiava il contenuto sul suo PC. La sera, quando Lara non c’era o era andata a dormire, seduto nello studio, con le luci spente e le cuffie infilate, ascoltava attentamente. Sempre gli stessi suoni indistinti: passi, il fruscio delle lenzuola, porte che si chiudevano. Nessuna voce compromettente, nessun segreto svelato. Nessun messaggio. Nessuna vibrazione insolita. Nessuna confessione alle amiche. Niente.
Un senso di sollievo lo avvolgeva, ma insieme stranamente cresceva un'insoddisfazione viscerale, come se fosse scontento di non poter scoprire segreti, di non trovare un’evoluzione di quello che era successo quella sera. Un piccolo frammento di lui, la parte più istintiva, inconscia, profonda, era quasi scontento che Lara non avesse un’altra storia.

Una sera Mario era in salotto, cercando di svagarsi, di pensare ad altro guardando un film che non era nient’altro che un brusio nella testa di Mario. Le immagini scorrevano sullo schermo, ma lui non riusciva a seguire la trama. Era abituato ormai a quella distrazione costante, un’ansia silenziosa che gli scavava dentro, una domanda senza risposta che lo teneva sempre sull’orlo del precipizio.

Sentì la porta d’ingresso aprirsi e chiudersi con un colpo secco. Il cuore gli accelerò subito. Lara tornava dalla palestra: sudata, con i capelli raccolti, l’elastico che tirava leggermente le ciocche bionde, il respiro ancora un po’ ansimante per tutte le energie sprecate. Si tolse le scarpe da ginnastica e lasciò cadere la borsa della palestra di fianco all’ingresso.

«Ehi,» disse lei entrando in soggiorno, la voce più dolce del solito.

Mario si voltò. I capelli di Lara erano ancora umidi, il viso leggermente arrossato dall’allenamento. I suoi occhi verdi sembravano velati, persi in un pensiero lontano. Dio quanto cazzo era bella. E quanto la voleva in quel momento. Amava stringersi a lei quando tornava dalla palestra, sentire il suo corpo ancora accaldato, il suo odore ancora più forte che gli picchiava in testa

«Ehi, com’è andata? » chiese Mario, tentando di mantenere un tono neutro per paura di chiedere troppo. Ogni volta che chiedeva, che domandava, si sentiva come un equilibrista che cammina su un filo sottile, sempre pronto a cadere.

Lei non rispose subito. Si avvicinò lentamente, come se stesse decidendo in quel momento cosa fare. Poi si sedette accanto a lui sul divano, così vicina che le loro spalle si sfiorarono. Dopo un istante, si lasciò andare, scivolando leggermente contro di lui. La testa di Lara trovò posto sulla sua spalla, e Mario trattenne il respiro.

«Che film ti guardi? » non rispose alla domanda. Mario capì che non doveva chiedere, non poteva chiedere.

«Mah non lo so, cazzeggiavo e ho trovato questo che sembrava divertente, ma non lo sto veramente guardando».

Lara rimase accoccolata un po’ a lui. Un braccio di lei lo strinse mentre Mario voleva che il tempo si fermasse lì in quel momento. I suoi capelli adagiati sulla spalla, il suo respiro vicino a lui, il suo odore. Un braccio di Mario la cinse da dietro e la strinse a sé.

«Mi mancava, » mormorò lei, quasi sottovoce.

Quelle parole, così semplici, gli esplosero dentro. Era come se un nodo che aveva stretto per giorni il suo stomaco si fosse improvvisamente allentato. Non osò muoversi, temendo che qualsiasi gesto potesse spezzare quell’istante fragile e prezioso.

«Anche a me, » riuscì a dire piano, il tono carico di emozione.

Restarono così per qualche minuto. Il film continuava, ma per lui il mondo si era ristretto a quel piccolo contatto. L’odore di Lara, il calore del suo corpo, il peso lieve della sua testa contro la spalla. Era tutto ciò che voleva. Eppure non riusciva a cancellare da dentro quella domanda che continuava a pungolarlo. Perché? Perché stasera così? E’ successo qualcosa? Non riusciva a smettere di interrogarsi.

«Che programmi hai per il weekend? » chiese lei, la voce morbida ma distante.

Mario deglutì, cercando le parole giuste.

«Penso di raggiungere i miei in montagna. Ho bisogno di un po’ di passeggiate e di aria buona. Anche se è strano non essere lì con te.»

«Lo so, anche per me lo è non venire. Ma penso ti farà bene stare un po’ lontano. Devi pensare a te» rispose Lara rimanendo ancora avviluppata alle sue braccia. Sembrava quasi in cerca di un conforto che nemmeno lei riusciva a definire. Mario sentiva il cuore battere forte, una parte di lui voleva chiederle di andare con lui, per fare un weekend insieme, vedere come andava. Ma non disse nulla. Sapeva che non avrebbe portato a nulla.

Ma Lara si mosse. Si staccò lentamente, come un’ombra che scivola via al calar della sera. I loro visi si avvicinarono, immobili, gli sguardi fissi l’uno nell’altro, come se il tempo si fosse fermato. Mario voleva baciarla, ma quando sembrava volersi avvicinare lei si alzò, stirando appena le spalle.

«Sono stanca, forse è meglio se vado a dormire, » disse con un sorriso dolce, ma velato di quella stessa distanza.

Mario annuì, il nodo allo stomaco che tornava a stringersi.

«Buonanotte,» rispose.

Lei esitò un attimo, come se volesse aggiungere qualcosa, ma poi si limitò a mandargli un bacio con la mano e si diresse al primo piano verso la sua stanza. La porta si chiuse piano dietro di lei.

Mario rimase lì, il bagliore del televisore che illuminava il soggiorno ormai vuoto. Il calore del suo corpo era ancora sulla sua spalla, ma il freddo della solitudine lo stava già avvolgendo.
 
Inizio a mettervi la scena successiva, che avevo già quasi pronta. I prossimi passaggi iniziano a essere molto intensi, ci dovrò lavorare un po' di più ma non è sempre facile perchè resta che una parte delle emozioni del protagonista le trovo molto vicine alle mie. Fatemi sapere, spero piaccia.

SCENA 9​

Ancora non si spiegava il comportamento di Lara della sera prima. Gli era sembrata più vicina, a tratti. Non completamente ma aveva cercato quell’affetto che li aveva sempre tenuti uniti. Si interrogava su questo mentre a tarda notte metteva le cuffie e riascoltava la registrazione del giorno. Un’altra serie di rumori indistinti, nulla da scoprire, nulla di insolito si disse tra sé e sé.

A un certo punto mentre scorreva il file velocemente sentii una voce. Sussultò. Tornò rapidamente indietro. Prima una voce troppo troppo lontana per riuscire a cogliere qualcosa. Poi sentii i passi di Lara entrare nella stanza. Ogni secondo pesante come piombo nelle orecchie di Mario. Seduto alla scrivania dello studio, gli occhi fissi sul muro davanti a sé, ascoltava senza fiato, le dita tese intorno al mouse. La voce di Lara apparve chiara, vibrante, un misto di gioia frizzante ed esitazione colpevole.

Non lo so, Giada… ho voglia di rivederlo. Forse gli scrivo per uscire venerdì sera… tanto Mario va in montagna. Così non inizierà a riempirmi di domande. Non so che cazzo fare.

Mario sentì una fitta nello stomaco, come una lama che affondava lentamente penetrando prima la sua pelle e pian piano infilandosi nelle sue viscere. La voce di Lara aveva quella leggerezza che un tempo apparteneva solo a loro due, un tono che aveva imparato a riconoscere nei momenti più intimi, quelli in cui ridevano sotto le coperte o facevano progetti a bassa voce nel cuore della notte.

Silenzio. Un brusio indistinto, probabilmente Giada che rispondeva qualcosa.

Lo so cazzo, mi sento in colpa, però. Come se stessi facendo qualcosa di sbagliato.

Una pausa. Brusio. Lara riprese, il tono più deciso, quasi difensivo:

Sì, hai ragione… siamo in pausa. Non dovrei sentirmi in colpa per niente. Ho bisogno di sentirmi viva, di sentire quella sensazione di nuovo. Non devo rendere conto a nessuno.

Quelle parole, sentirmi viva, erano un colpo diretto al petto. Mario tremava, il respiro breve e irregolare. Aveva sempre saputo che Lara aveva bisogno di qualcosa che lui non riusciva più a darle, ma sentirlo così chiaramente, detto a un’altra persona, lo faceva sentire nudo e vulnerabile.

Dio non vedo l’ora, Giada. È come tornare una ragazzina. Le prime volte, quando esci con qualcuno, quando scopri le sue mani, il suo odore… è tutto nuovo e… dannazione, è così bello.

Brusio. Lara che scoppia in una risata.

Cazzo un casino. Tra l’altro porca puttana, chiedi a Francesca se posso passare da lei domani per darmi una pulita. E’ un secolo che non vado.

Lara scoppia a ridere

Ma no, non lo so, non succederà niente. Ma meglio essere previdenti. Sempre

Ancora una risata

Madonna non hai idea

Brusio. Risatine. La voce di Lara è in preda all’emozione. Come se avesse appena vinto un concorso o qualcosa di importante.

Ora vado va che devo anche vedere cosa potrei mettere se ci esco davvero. Voglio mettermi qualcosa di carino. Essere bella. Porca puttana tutto l’intimo bello me l’ha regalato Mario o l’ho preso per lui, non mi va. Forse devo fare shopping.

Ancora una risata fragorosa carica di elettricità.

Ahah esatto, sempre perché non si sa mai. Cazzo ho voglia di essere diversa, di fare qualcosa solo per me. Di sentirmi libera, leggera. Voglio lasciarmi andare senza pensieri. Va bene tesorina vado. Ti aggiorno.

E poi fu silenzio. Assordante. Inframezzato da cassetti che si aprivano. Sbuffi. Cassetti che si richiudevano. Passi che uscivano dalla stanza e poi silenzio. Mario tremava fissando imbambolato lo schermo del computer, le pupille dilatate come quelle di un felino che si adatta al buio. Il cuore gli batteva così forte che poteva sentirlo rimbombare nelle tempie. Ogni fibra del suo corpo era attraversata da un’ondata di emozioni contrastanti: rabbia, dolore, desiderio, e quell’eccitazione malsana che non riusciva a scacciare. Si sfiorò il membro. Era duro che spingeva nei pantaloni.

Lara, quella stessa Lara che ora gli sembrava un’estranea, stava scegliendo di cancellare tracce di lui anche nelle pieghe più intime della sua vita.

Lara che girava per i negozi, che sceglieva delicati pezzi di lingerie per il suo appuntamento, lo colpì come un pugno nello stomaco. Il pensiero che quei nuovi acquisti potessero essere destinati non a lui, ma a qualcun altro, gli faceva venire la nausea e, al tempo stesso, accendeva una scintilla di quell’eccitazione malsana che non riusciva a scacciare. La piccola stanza dove ormai viveva iniziava a girare, non riusciva a muoversi. Si stringeva togliendogli il respiro.

Le nocche erano bianche per la tensione, gli arti tesi e immobili mentre ancora la mano destra brandiva il mouse procedendo velocemente sul resto del file che non faceva sentire nient’altro che silenzio.

Lara che si preparava per un appuntamento con qualcun altro, che sceglieva un vestito, si truccava, rideva nervosa prima di uscire... tutto lo faceva tremare. Immaginava le sue mani che sistemavano i lunghi capelli biondi, la stessa dolcezza nei gesti che un tempo era solo per lui. Lara che si metteva il rossetto, che si guardava allo specchio. L’idea che Lara volesse essere attraente per un altro. Che volesse essere pronta a ogni evenienza. L’estetista. L’intimo.

Gli occhi li sentiva gonfi come di lacrime che non riuscivano a scendere. Si passò una mano sul viso, cercando di riprendere il controllo. Aveva bisogno di aria. Di scappare da quel vortice di pensieri. Ma soprattutto, aveva bisogno di capire se quella pausa stava davvero portando alla fine di tutto, o a una nuova, dolorosa verità. Si alzò attaccandosi alla sedia. Crollò sul divano letto che era rimasto aperto. Infilò una mano nei jeans trovando ancora il cazzo duro. Perché tutto questo lo eccitava a dismisura. Lara. La sua Lara. A un appuntamento. Si abbassò i pantaloni e iniziò a far andare la mano velocemente. Voleva venire e scacciare le immagini che si comprimevano nella sua mente una dopo l’altra. Venne poco dopo, per terra, inginocchiandosi per non sporcare troppo in giro. E rimase lì immobile per qualche minuto. In ginocchio con il cazzo in mano che perdeva pian piano vigore e un rumore fortissimo nella sua testa. Pulì il pavimento e risistematosi scese di corsa le scale uscendo dall'ingresso principale fino a trovarsi in giardino. Voleva urlare. Si piegò esausto, cercando di riprendere il respiro che sembrava impazzito. L'aria pungente della sera iniziò a fare il suo effetto.

Venerdì era sempre più vicino, e Mario sapeva che, qualunque cosa sarebbe accaduta, non sarebbe riuscito a distogliere i pensieri da Lara, da quel nuovo pezzo di vita che lei sembrava già decisa a esplorare senza di lui.
 
Inizio a mettervi la scena successiva, che avevo già quasi pronta. I prossimi passaggi iniziano a essere molto intensi, ci dovrò lavorare un po' di più ma non è sempre facile perchè resta che una parte delle emozioni del protagonista le trovo molto vicine alle mie. Fatemi sapere, spero piaccia.

SCENA 9​

Ancora non si spiegava il comportamento di Lara della sera prima. Gli era sembrata più vicina, a tratti. Non completamente ma aveva cercato quell’affetto che li aveva sempre tenuti uniti. Si interrogava su questo mentre a tarda notte metteva le cuffie e riascoltava la registrazione del giorno. Un’altra serie di rumori indistinti, nulla da scoprire, nulla di insolito si disse tra sé e sé.

A un certo punto mentre scorreva il file velocemente sentii una voce. Sussultò. Tornò rapidamente indietro. Prima una voce troppo troppo lontana per riuscire a cogliere qualcosa. Poi sentii i passi di Lara entrare nella stanza. Ogni secondo pesante come piombo nelle orecchie di Mario. Seduto alla scrivania dello studio, gli occhi fissi sul muro davanti a sé, ascoltava senza fiato, le dita tese intorno al mouse. La voce di Lara apparve chiara, vibrante, un misto di gioia frizzante ed esitazione colpevole.

Non lo so, Giada… ho voglia di rivederlo. Forse gli scrivo per uscire venerdì sera… tanto Mario va in montagna. Così non inizierà a riempirmi di domande. Non so che cazzo fare.

Mario sentì una fitta nello stomaco, come una lama che affondava lentamente penetrando prima la sua pelle e pian piano infilandosi nelle sue viscere. La voce di Lara aveva quella leggerezza che un tempo apparteneva solo a loro due, un tono che aveva imparato a riconoscere nei momenti più intimi, quelli in cui ridevano sotto le coperte o facevano progetti a bassa voce nel cuore della notte.

Silenzio. Un brusio indistinto, probabilmente Giada che rispondeva qualcosa.

Lo so cazzo, mi sento in colpa, però. Come se stessi facendo qualcosa di sbagliato.

Una pausa. Brusio. Lara riprese, il tono più deciso, quasi difensivo:

Sì, hai ragione… siamo in pausa. Non dovrei sentirmi in colpa per niente. Ho bisogno di sentirmi viva, di sentire quella sensazione di nuovo. Non devo rendere conto a nessuno.

Quelle parole, sentirmi viva, erano un colpo diretto al petto. Mario tremava, il respiro breve e irregolare. Aveva sempre saputo che Lara aveva bisogno di qualcosa che lui non riusciva più a darle, ma sentirlo così chiaramente, detto a un’altra persona, lo faceva sentire nudo e vulnerabile.

Dio non vedo l’ora, Giada. È come tornare una ragazzina. Le prime volte, quando esci con qualcuno, quando scopri le sue mani, il suo odore… è tutto nuovo e… dannazione, è così bello.

Brusio. Lara che scoppia in una risata.

Cazzo un casino. Tra l’altro porca puttana, chiedi a Francesca se posso passare da lei domani per darmi una pulita. E’ un secolo che non vado.

Lara scoppia a ridere

Ma no, non lo so, non succederà niente. Ma meglio essere previdenti. Sempre

Ancora una risata

Madonna non hai idea

Brusio. Risatine. La voce di Lara è in preda all’emozione. Come se avesse appena vinto un concorso o qualcosa di importante.

Ora vado va che devo anche vedere cosa potrei mettere se ci esco davvero. Voglio mettermi qualcosa di carino. Essere bella. Porca puttana tutto l’intimo bello me l’ha regalato Mario o l’ho preso per lui, non mi va. Forse devo fare shopping.

Ancora una risata fragorosa carica di elettricità.

Ahah esatto, sempre perché non si sa mai. Cazzo ho voglia di essere diversa, di fare qualcosa solo per me. Di sentirmi libera, leggera. Voglio lasciarmi andare senza pensieri. Va bene tesorina vado. Ti aggiorno.

E poi fu silenzio. Assordante. Inframezzato da cassetti che si aprivano. Sbuffi. Cassetti che si richiudevano. Passi che uscivano dalla stanza e poi silenzio. Mario tremava fissando imbambolato lo schermo del computer, le pupille dilatate come quelle di un felino che si adatta al buio. Il cuore gli batteva così forte che poteva sentirlo rimbombare nelle tempie. Ogni fibra del suo corpo era attraversata da un’ondata di emozioni contrastanti: rabbia, dolore, desiderio, e quell’eccitazione malsana che non riusciva a scacciare. Si sfiorò il membro. Era duro che spingeva nei pantaloni.

Lara, quella stessa Lara che ora gli sembrava un’estranea, stava scegliendo di cancellare tracce di lui anche nelle pieghe più intime della sua vita.

Lara che girava per i negozi, che sceglieva delicati pezzi di lingerie per il suo appuntamento, lo colpì come un pugno nello stomaco. Il pensiero che quei nuovi acquisti potessero essere destinati non a lui, ma a qualcun altro, gli faceva venire la nausea e, al tempo stesso, accendeva una scintilla di quell’eccitazione malsana che non riusciva a scacciare. La piccola stanza dove ormai viveva iniziava a girare, non riusciva a muoversi. Si stringeva togliendogli il respiro.

Le nocche erano bianche per la tensione, gli arti tesi e immobili mentre ancora la mano destra brandiva il mouse procedendo velocemente sul resto del file che non faceva sentire nient’altro che silenzio.

Lara che si preparava per un appuntamento con qualcun altro, che sceglieva un vestito, si truccava, rideva nervosa prima di uscire... tutto lo faceva tremare. Immaginava le sue mani che sistemavano i lunghi capelli biondi, la stessa dolcezza nei gesti che un tempo era solo per lui. Lara che si metteva il rossetto, che si guardava allo specchio. L’idea che Lara volesse essere attraente per un altro. Che volesse essere pronta a ogni evenienza. L’estetista. L’intimo.

Gli occhi li sentiva gonfi come di lacrime che non riuscivano a scendere. Si passò una mano sul viso, cercando di riprendere il controllo. Aveva bisogno di aria. Di scappare da quel vortice di pensieri. Ma soprattutto, aveva bisogno di capire se quella pausa stava davvero portando alla fine di tutto, o a una nuova, dolorosa verità. Si alzò attaccandosi alla sedia. Crollò sul divano letto che era rimasto aperto. Infilò una mano nei jeans trovando ancora il cazzo duro. Perché tutto questo lo eccitava a dismisura. Lara. La sua Lara. A un appuntamento. Si abbassò i pantaloni e iniziò a far andare la mano velocemente. Voleva venire e scacciare le immagini che si comprimevano nella sua mente una dopo l’altra. Venne poco dopo, per terra, inginocchiandosi per non sporcare troppo in giro. E rimase lì immobile per qualche minuto. In ginocchio con il cazzo in mano che perdeva pian piano vigore e un rumore fortissimo nella sua testa. Pulì il pavimento e risistematosi scese di corsa le scale uscendo dall'ingresso principale fino a trovarsi in giardino. Voleva urlare. Si piegò esausto, cercando di riprendere il respiro che sembrava impazzito. L'aria pungente della sera iniziò a fare il suo effetto.

Venerdì era sempre più vicino, e Mario sapeva che, qualunque cosa sarebbe accaduta, non sarebbe riuscito a distogliere i pensieri da Lara, da quel nuovo pezzo di vita che lei sembrava già decisa a esplorare senza di lui.
Sempre più avvincente, ora che sembra che la coppia sia finita lui si sta trasformando in un cuck e non credo che parta più il fine settimana ma rimane lì per spiarla
 
Sempre più avvincente, ora che sembra che la coppia sia finita lui si sta trasformando in un cuck e non credo che parta più il fine settimana ma rimane lì per spiarla
Penso che hai ragione da vendere,avrei fatto la stessa cosa,purtroppo per lui lei si sta innamorando di un'altro,io me ne sarei già andato,ma è troppo innamorato di lei,poi da quello che scrive sono sposati da poco......
 
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