Esperienza reale A casa della Milf.

Re_v

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Premessa. I nomi sono fittizi, i dialoghi leggermente romanzati. Non chiedete foto, non ne mando.

Dalle mie parti non è semplice conoscere una ragazza. Le donne, qui, non solo non danno confidenza, ma preferiscono fuggire dalla piccola realtà del paese per raggiungere l'habitat cittadino, a circa un'ora di strada. Ora, non che non abbia voglia di inseguire l'acre odore della vagina, ma mi rimane difficile con il lavoro e quant'altro. Mi occupo di consegne e la maggior parte del mio tempo lo impiego a guidare un mezzo, che sia un'auto, un furgone, un camion. Mettetevi nei miei panni: è vero che per la figa uno farebbe di tutto, ma sinceramente quando ho un attimo libero tendo a recuperare le energie e a spalmarmi sul divano. Quando succede ho un passatempo che mi consente di imbastire e tessere le trame dei futuri incontri. In una parola...Instagram. Non so perché, ma risulto piacevole alle donne. Direte voi, che c'è di male...il punto è che non ho nemmeno una foto mia, nel profilo. Avrò al massimo cinque o sei foto esclusivamente di paesaggi, senza nemmeno una frase strappamutande. Semplicemente dedico molta attenzione ai dettagli e scelgo i miei bersagli, riuscendo a capire quali donne sono più disponibili e quali invece sono obiettivi impossibili. Ho ricevuto anche tanti no, ovviamente, ma altrettanti sì. E quello che voglio narrarvi è il rapporto che si è creato tra me e uno di questi sì.
Si chiamava Silvia e l'ho conosciuta con un paio di like e altrettanti commenti alle sue foto di tramonti. C'era qualche foto di lei che avevo chiaramente notato, ma che avevo ignorato appositamente: mi serviva una scusa per parlarle, e presentarsi facendole i complimenti per il suo davanzale o per il suo sguardo mi sembrava banale e fuori luogo. Scelsi perciò la via artistica: presi la palla al balzo quando inserì una storia con uno scorcio mozzafiato ed una canzone a tema, riuscendo così a catturare la sua attenzione. Iniziammo a parlare del più e del meno e mi resi conto che discutere con lei era davvero piacevole. Deve aver avuto la stessa sensazione anche lei, perché quando la invitai a cena non esitò ad accettare. E non glielo chiesi, ovviamente: non le lasciai scelta. Domandarglielo mi avrebbe fatto perdere tempo e l'avrebbe messa sulla difensiva. Si sa, le donne tendono sempre a temporeggiare quando chiediamo di uscire, motivo per cui ho imparato a non chiederlo più. "Sei invitata a cena domani sera" sono le sei parole che mi hanno fatto scopare più di qualsiasi altra cosa. Comunque, l'appuntamento era ormai fissato. Le dissi che avrei potuto cucinare per lei ma che non potevo ospitarla in quanto condividevo (e condivido tuttora) un appartamento con due cari amici, cosa che le fece subito abbassare qualsiasi barriera. "vieni da me", disse...ed io non aspettavo altro.

"Vieni per le 21, il tempo di portare mia figlia da un'amica." mi disse quella sera. Silvia all'epoca aveva quarantanni, una figlia di diciannove e divorziata da cinque. Decidemmo entrambi di non mostrarci troppo, sulla chat di instagram. E' vero, lei aveva qualche foto di sé, ma erano foto in cui si vede tutto e niente, giochi di ombre e penombre, che lasciano spazio più all'immaginazione che alla vista. Nel tragitto che mi divideva da lei, all'incirca un quarto d'ora di strada, fantasticai con la mente. Avevo raccattato le informazioni che lei mi aveva dato e le avevo mescolate alla rinfusa per cercare di stamparmi una pericolosa foto in testa di come poteva essere, ma non riuscii a metterla per bene a fuoco, cosa che da una parte mi infastidiva, dall'altra aumentava l'eccitazione per la sorpresa. Alla fine arrivai e lei era già sull'arco della porta. Fuori era notte e lei era illuminata solamente dalla luce di una lampadina che svettava dall'uscio. Aveva il maglione bianco, scollato, pieno del suo grosso seno che premeva sulla lana. Un paio di jeans neri faticavano a trattenere un ampio sedere e le cosce, belle grandi ma sode, gonfiavano la stoffa dei pantaloni e reclamavano libertà. La guardai in volto e sorrisi, lei fece lo stesso. Occhi che tendevano al grigio, labbra rosate e capelli corvini, il volto dalla pelle vagamente arrossata per via del calore della sua abitazione. Mi avvicinai, l'abbracciai e ci scambiammo i classici baci sulla guancia. Non riuscii a capire l'aroma del suo profumo, ma non lo dimenticherò mai, motivo per cui potrei riconoscerla anche tra una folla di centinaia di persone.
-Benvenuto!- mi disse con un filo di voce mentre anche lei stringeva le sue mani sulla mia schiena. Mi invitò ad entrare e venni accolto dal crepitare del fuoco nel camino, dal profumo di legna messa ad ardere e dal tepore della sua abitazione.
-Vieni!- mi fece strada verso la cucina.
-Che c'è, vuoi mettermi subito a lavoro?- chiesi io in un mezzo sorriso.
Ricambiò mentre mi toglievo il giubbetto e mi divertii ad intercettare il suo sguardo che si fissava sulle mie braccia. Sono sempre stato ben messo, fisicamente, ma da quando ho iniziato questo lavoro devo dire che le braccia, le spalle e la schiena hanno raddoppiato il loro volume. Mi trovo spesso a staccare pacchi pesanti e gravi di ogni genere, e i risultati, nel lungo periodo, si vedono. Comunque, feci finta di nulla e mi misi a cucinare.
A tavola parlammo poco, non sono abituato a discutere davanti ad un piatto. Dovetti spiegarglielo perché sembrava aver perso quel suo brio iniziale quando mi vide in silenzio. Mi sorrise e mi disse di non preoccuparmi e aggiunse che avremmo parlato successivamente.
Prendemmo un calice di vino a testa e ci spostammo sul divano, di fianco, davanti al camino.
-Devo farti una domanda.- mi disse lei ad una certa.
-Dimmi pure.- poggiai il bicchiere sul piccolo tavolino che avevamo di fronte ai piedi.
-Perché ti interessi ad una vecchia come me? Voglio dire, hai ventisette anni, puoi avere chiunque.-
-Vecchia è una brutta parola, non trovi? Per me non sei così vecchia, anzi.-
Non rispose. Mi fissava con quegli occhi pieni di nostalgia degli anni andati, ma altrettanto colmi di quella voglia di riscatto per una vita che non era andata come voleva. Le spiegai che non avevo troppa voglia di perder tempo con quelle della mia età: cercano altro, cercano il riccone di turno con la macchinona, tutti belli agghindati. Io mi sentivo più vecchio di lei, all'epoca: non ero tagliato per le discoteche, per uscire il sabato sera, per star dietro alla vita mondana delle ragazze coetanee. Volevo qualcosa di più profondo, qualcosa che andasse oltre l'aspetto fisico, che andasse oltre l'amore o una semplice scopata.
-Per quanto...devo ammettere che tu mi piaci molto anche dal punto di vista estetico.- aggiunsi in un mezzo sorriso beffardo.
-Ma dai, sono in sovrappeso!-
-Dipende dai punti di vista. Dal mio no.- commentai tornando a bere.
Di nuovo rimase in silenzio, il bicchiere tra le mani, poggiata sullo schienale del divano con il suo fianco destro, così da potermi studiare meglio. Mi sentivo sotto osservazione, ma mi piaceva da morire. Non feci in tempo ad aprir bocca che lei si era accoccolata con la testa sulla mia spalla, ed i capelli finivano poco sotto alle mie labbra, tra i peli ruvidi della mia barba. Non ci pensai due volte e le schioccai un bacio sulla nuca...lei alzò il viso e lo avvicinò al mio...ed in un attimo le nostre labbra si toccarono. un bacio casto, dapprima, poi sempre più vizioso, voglioso l'uno dell'altro. Le nostre bocche si schiusero e le lingue s'intrecciarono in un lungo abbraccio e le mani iniziavano a studiare i corpi altrui. Passò appena una manciata di secondi prima di trovarmi le sue mani sui fianchi, e prima che io cercassi i suoi con le mie. Inutile dire che all'istante il cazzo mi si gonfiò nei jeans per tutta la situazione: lei era la mia prima milf e la serata, con il fuoco, la cena, il vino, era stata davvero piacevole. Dio solo sa quanto avrei voluto riempirla della mia carne, quella sera...ma dovrò deludervi dicendo che ciò non accadde. Lei mi salì sopra ed iniziò a strofinarsi voluttuosamente sul mio vistoso rigonfiamento mentre continuavamo a baciarci come ragazzini di quindici anni carichi di ormoni. Le mie dita, ormai, avevano studiato ogni centimentro della sua pelle, sotto quel maglione che, forse per un gioco perverso di sguardi, avevo deciso di non toglierle. Le tastavo le tette da sopra il reggiseno e solo allora mi accorsi, pur senza guardarle, della loro dimensione. Erano enormi e a giudicare dai poderosi bottoncini che stuzzicavo oltre la stoffa con le mie dita, doveva avere dei capezzoli grossi come la falange del mio dito. Ero più ormoni che carne, in quel momento. Le ficcavo la lingua nella bocca, poi cercavo il suo collo e la mordevo, succhiavvo il lobo del suo orecchi e la sentivo gemere mentre alzava il volto verso il soffitto. E non la smetteva, non la smetteva mai di strofinarsi sul mio cazzo, nonostante i pantaloni che non accennava a sbottonare. Presi l'iniziativa e ci provai io, ma lei mi diede un colpetto sul palmo della mano, abbassò la faccia vicino al mio volto e mi sussurrò una sola parola, carica di malizia.
-Scordatelo.- disse con un filo di voce. Ed io mi arrapai ancor di più. Lei mi graffiava il petto da sopra la maglia, le sue unghie penetravano poi nella carne dei miei bicipiti venosi e i suoi denti ricambiavano sul mio collo il trattamento che io avevo riservato al suo. Succhiava con quelle labbra la mia pelle, la mia carne, la mia anima...e non lo faceva dal cazzo. Avrebbe voluto farlo perché ad una certa scivolò davanti a me e si mise in ginocchio con la faccia tra le mie gambe. Le mano sinistra giocò con il mio corpo per un altro pò fino a giungere alla patta dei miei pantaloni...e gliel'avrei fatto svettare davanti al muso, le avrei infilato le palle in bocca e dio solo sa cos'altro le avrei fatto quella sera...ma ebbi come un moto d'orgoglio. O fu più che altro un gioco. Colpì la sua mano come lei aveva fatto con la mia, scossi la testa e sorrisi beffardo.
-Scordatelo.- risposi.
Non so ancora come io abbia fatto a resistere. Non so nemmeno perché decisi di resistere, a dire il vero. E non so neeanche quanto ancora sarebbe durato quel perverso gioco...poi il suo cellulare squillò e noi tornammo alla realtà: erano le due ed era in ritardo per sua figlia.
Ci salutammo sull'arco della porta con un abbraccio e un bacio molto poco casto, con l'intenzione di rivederci qualche giorno dopo.
Ce ne sono molte di cose da raccontare, con Silvia...e se vi è piaciuto potrò andare avanti. Quella notte, comunque, una volta nella mia camera, dovetti spararmi due seghe per poter calmare i miei bollori...
 
Ultima modifica:
Aveva le mani grandi, le dita affusolate, le unghie ben curate ma prive di qualsiasi smalto o lucido. Erano lunghe ed affilate abbastanza da strapparmi l'anima dal corpo, se solo lei avesse voluto. Non ci avevo fatto caso fino ad allora, nonostante il sabato precedente si fosse prodigata di graffiarmi il petto. Ma ora, in quel momento, mentre muoveva sapiente la mano sinistra sul manico della sua chitarra acustica, non potevo fare a meno di notare, di apprezzare, di desiderare quella mano. Ed avrei voluto si muovesse così leggera sul mio cazzo già duro. Non ho mai avuto il tempo di imparare a suonare uno strumento, ma sono un bravo cantante, così intonai qualche strofa mentre lei si dilettava con altrettanti accordi. Ho un timbro baritono e Silvia sembrava decisamente affascinata dalla cosa. Nonostante fossimo intenti in quell'improvvisato duetto, ci guardavamo con gli occhi di chi vuole spogliarsi, di chi vuole rotolarsi nudi tra le lenzuola ed accoppiarsi voracemente come animali. Non so dire di preciso per quanto tempo continuammo, ma ad una certa lei steccò un SI ed io sorrisi.
-Accidenti.- protestò lei poggiando la chitarra sull'apposito sostegno. -Sono decisamente arrugginita.-
-Ma no, sei brava invece.-
-Ero più brava una volta.- alzò gli occhi e mi fissò con sguardo carico di malizia. Avevo l'impressione che il discorso potesse essere ambiguo, così stetti al gioco.
-Beh...- risposi io. -L'esercizio di sicuro aiuta. Da quanto non lo facevi più?- un ghigno mellifluo stampato sulle labbra.
-Cinque anni.- guarda caso da quando ha divorziato, pensai all'istante. Ora ne avevo la certezza: non si parlava più di musica. Si adagiò su un fianco, poggiando la testa sullo schienale del divano, la mano sotto la nuca. Mi guardava, mi fissava, mi mangiava con quello sguardo figlio di due occhi di un colore indefinito, tendente al grigio topo, ma con venature che sfumavano in diverse tonalità di marrone. Sostenevo le sue occhiate con estrema naturalezza e questa mia apparente sicurezza la mandava chiaramente su di giri. In realtà non sapeva quanto nervoso fossi. E non per un'inquietitudine interiore, né per una mia insicurezza, piuttosto perché bramavo il suo corpo e volevo farla mia. Era tuttavia una sensazione strana: una gran parte di me voleva fotterla come una vacca da monta su quel divano, voleva riempirla con la mia carne e farle urlare il mio nome ai quattro venti, voleva possederla come una giumenta in calore e distruggerle ogni orifizio. Eppure, l'altra parte del mio essere voleva assolutamente continuare quel gioco di sguardi, un gioco di una perversione forse unica nel suo genere: scopare senza scopare, penetrarci le menti prima ancora dei corpi. E questo, devo ammetterlo, mi mandava fuori di testa più dell'atto in sé.
-Tu pure sei bravo a cantare.- fece lei d'improvviso, facendo virare di nuovo il discorso. La guardai spiazzato, lei se ne accorse e sorrise beffarda. Io cercai di assecondarla.
-Avevo un gruppo, una volta. Non ho mai avuto tempo di imparare a suonare uno strumento, ma cantare mi è sempre rimasto semplice.- spiegai.
-Hai una bella voce.-
-Pura fortuna.- scrollai le spalle, in fondo era vero. -Devo ammettere, però...- assunsi un'aria vagamente pensante. -...di non aver mai duettato con una donna.-
-Ah no?- dovevo aver suscitato la sua curiosità.
-No, decisamente no.- confermai.
-E quante altre cose non hai mai fatto?-
Bingo. Avevo preso in mano la conversazione. E sorrisi malizioso.
-Ad esempio...non sono mai stato con una...- feci una leggera pausa ghignando.
-...Milf?- concluse lei ricambiando il sorriso. Annuii senza dire una parola, lei si morse il labbro inferiore, un attimo dopo la lingua umettava quello superiore. Non me lo feci ripetere due volte e mi gettai a capofitto su di lei, che mugolò dal piacere. Spalancò le gambe ed accolse il mio corpo, e nonostante i Jeans coprissero entrambi riuscii chiaramente a farle sentire quanto il mio cazzo bramava la sua carne. Affondai il volto nell'incavo del collo mentre con le mani mi facevo largo sotto ai suoi vestiti, sui suoi fianchi, sulla sua pancia, sulle sue enormi tette. Con la lingua saggiavo ogni centimetro di pelle tra l'orecchio e la spalla, poi mi spostavo sul volto e schiudevo le mie labbra sulle sue, desideroso di sentire il suo sapore. Lei, d'altro canto, aveva le unghie infilate nei muscoli della mia schiena, sotto la T-shirt che non riusciva a contenere la sua frenesia. Mi strappava la pelle ed io mi eccitavo ad ogni affondo dei suoi artigli, ad ogni vigorosa carezza, ad ogni graffio che mi regalava. Scendeva fino ai fianchi, poi sull'addome, infine sul petto, e ritornava giù, a sfiorarmi il pacco, pur senza mai toccarlo. Senza indugiare ancora le alzai la maglietta e finalmente, per la prima volta, i miei occhi videro quelle giunoniche forme che svettavano dal suo petto. Non indossava il reggiseno, stavolta, come ad immaginare un epilogo del genere. Aveva almeno una quinta, le mie mani, nonostante siano grandi, non riuscivano a coprire tutta la sua carne. Strabordavano dalle mie dita, ballavano davanti al mio sguardo, ed esibivano capezzoli turgidi, duri, grossi come noccioline, dotati di areole ampie del color del caffelatte. Non potevo resistere un secondo di più ed affondai il volto in quel ben di Dio, succhiando e leccando come se non ci fosse un domani. Lei mi aiutò andandosele a stringere e le fece tremolare quasi a volermi schiaffeggiare. Quando rialzai lo sguardo in mezzo a quelle enormi tette, la vidi leccarsi gli angoli della bocca, la vidi mordersi il labbro, la vidi semplicemente infogliata come non mai. Senza accorgermene avevo portato le dita sul bottone dei suoi jeans e stavolta non ci fu nessuna pacca sul mio dorso, nessuno stop. Lei fece lo stesso con la patta dei miei pantaloni e di nuovo, io non opposi resistenza. Eppure, ad un certo punto ci guardammo, ci guardammo senza parlare, e capimmo ogni cosa.
Senza indugio la spogliai prima che lei lo facesse con me. Ero frenetico, meccanico nei movimenti, non volevo nient'altro che vederla nuda come madre natura l'aveva fatta. E quando ciò accadde avrei potuto sborrare senza nemmeno sfiorarmi. Le sue forme prosperose stavano lì, a meno di venti centimetri da me, su quel divano che la accoglieva alla perfezione. Aveva le gambe grosse, sode, il culo altrettanto largo che strabordava dal sedile del sofa. Le tette penzolavano dal busto e si allargavano ai lati del suo corpo mentre lei si stuzzicava un capezzolo con un dito della mano destra, la sinistra vicino alla bocca. Poi, con una lentezza disarmante, schiuse le gambe e per poco non svenni. Dinnanzi a me si apriva una fica che era palesemente già fradicia, coperta di peli folti e scuri, ben curati ai lati ma rigogliosi come un bosco di conifere. Rimasi ad ammirarla per istanti che mi sembrarono interminabili: vidi quella vagina pulsare, reclamare la mia carne, il mio volto, e non potevo farla attendere. Avrei voluto gettarmi a capofitto su quella fessura umida e bollente, ma decisi di farla impazzire iniziando a baciarle lentamente la coscia sinistra, aprendole gli arti inferiori tenendola sotto alle ginocchia. Poggiò i piedi nudi (che a differenza delle mani avevano unghie smaltate di rosso -avrò modo in altri capitoli di approfondire il discorso dei piedi-) sul mio petto, poi fece scivolare i talloni attorno alla mia nuca e mi tirava verso di sé, desiderosa della mia lingua. Non cedetti, ero io a comandare, ero io a decidere. E lei lo capì. La mia bocca scivolava sulla pelle della sua coscia ed arrivava fin quasi alla sua fica, senza tuttavia soffermarsi. Soffiavo il mio desiderio sul suo sesso bollente ed odoravo i suoi effluvi per attimi soltanto, prima di concentrarmi sull'altra gamba. Sentivo lei inarcare il suo corpo quando arestavo il mio volto davanti alla sua fica, voleva schiaffarmela in faccia, ma io avevo la volontà di farla morire di piacere...e ci stavo riuscendo. Passarono minuti prima che io decidessi di concentrarmi lì, in mezzo alle sue gambe, tra la sua carne fradicia e i suoi peli che sapevano di fresco. E quando lo feci, quando decisi di prendermi cura della sua fica, lei si lasciò andare in un mezzo grido intriso di piacere e soddisfazione. La mia lingua iniziò a farsi strada tra le pieghe della sua carne, la penetrai per alcuni secondi prima di spostarmi sul suo bottoncino che era già gonfio e pulsante. Portai le dita ad allargarle la fessura, così da aiutare il movimento della mia lingua, e vidi con piacere quanto le sue pareti fossero umide, traslucide dei suoi liquami. Istintivamente infilai due dita dentro di lei...e Silvia non potè trattenere un urlo. Iniziai a scoparla con le dita mentre mi concentravo sul clitoride, lo succhiavo e lo stuzzicavo con i denti e con la punta della lingua, strofinandolo sulle mie labbra. Nel frattempo, indice e medio erano piantati dentro il suo corpo e li piegavo verso l'alto, a strofinare i polpastrelli sulle sue pareti superiori. Mi resi conto della sua astinenza dopo pochi istanti: non servirono grandi manovre per farla esplodere di piacere sul mio volto. Sentii la sua mano tra i miei capelli spingere la mia faccia contro di lei, percepii il suo respiro affannato, strozzato, i suoi gemiti che le morivano in gola. Poi, d'un tratto ebbe un fremito e capii che era prossima all'orgasmo. Aumentai il ritmo e Silvia si lascio andare in un urlo liberatorio mentre la sua fica pulsava dinnanzi alla mia faccia. Raccolsi tutti quei liquami che lei mi stava donando e mi dissetai dei suoi sapori, ingoiando tutto il possibile per non sprecare nemmeno una goccia di quel nettare saporito. Sapeva di Silvia. Sapeva di donna.
Impiegò un pò per riprendersi, ma quando lo fece mi strappò letteralmente l'anima dal corpo. COn un moto di riscossa riservò a me lo stesso trattamento: ancora nuda, con la fica che colava, mi spogliò completamente, rimanendo anch'essa a contemplare il mio cazzo dritto, venoso e duro come il marmo dinnanzi al suo volto. Allargò le gambe e salì a cavalcioni su di me, la fica a due centimetri dalla mia cappella...ma non si penetrò. No, piuttosto afferrò l'asta con il palmo della sua mano ed iniziò una lenta sega, strofinando la punta del cazzo sul suo clitoride. Poi scivolò in ginocchio, mi aprì le cosce e si insediò con il suo giunonico corpo tra le mie gambe, con quelle tette enormi a strofinarmi i coglioni. La faccia si abbassò sul cazzo e senza preavviso alcuno lo fagocitò per intero, ficcato tutto fino in gola. Ora...io ho la fortuna di superare quota 20...e devo ammettere che la cosa mi sorprese perché nessuna era mai riuscita a metterselo tutto in bocca con quella semplicità. Sgranai gli occhi e mi abbandonai alle sue cure su quel divano, alzando il volto verso il soffitto. Iniziò uno dei migliori pompini della mia vita, fino ad allora, un record che soltanto Silvia stessa riuscì ad abbattere. Accompagnava il movimento di labbra e lingua con una sega lenta e ben fatta, e la sua saliva, che colava come un rubinetto aperto, rendeva l'attrito quasi nullo, come se il mio cazzo fosse effettivamente infilato in una vagina. E in tutto questo lei, da vera vacca, mi guardava, mi guardava con quegli occhi carichi di sesso, di voglia, di cose rimandate alla volta successiva. Io l'avevo capito dalla prima occhiata, nel momento esatto in cui la spogliai...e mi andava bene così. La voglia di farcirla era arrivata alle stelle, la voglia di sbracarle la fica era tangibile, ma di nuovo resistetti. E non so come.
Silvia era vorace. Divorava il mio cazzo, leccava la mia cappella salendo con la lingua dalle palle fino alla punta, poi se lo sbatteva in faccia, lasciando sulle sue guance tracce della sua stessa saliva. Non mi serviva parlare per dirle cosa doveva fare, lei era già perfetta. Era perfetta per me, per i miei gusti, per ciò che mi piaceva...e lei lo sapeva. Sapeva tutto. Sapeva persino il momento esatto in cui stavo per raggiungere l'orgasmo perché semplicemente lo leggeva nei miei occhi prima ancora di sentirlo dalle pulsazioni del mio bastone. Non fece una piega. Continuò a pomparmi e a segarmi con una semplicità estrema fino a quando non eruttai litri di sborra calda nella voragine che aveva per bocca. Non si fermò nemmeno quando le scaricai dentro un pezzo di me, della mia anima. E non si fermò nemmeno quando cercai di divincolarmi perché mi stava andando a fuoco la cappella. Si fermò solo quando volle lei. Si fermò quando ormai ero esausto. Si fermò quando ormai era completamente dissetata. Lasciò solo un rivolo di sperma fuori, e se lo fece colare sul labbro inferiore, sul mento, sulle tette...e mi guardò fissa, senza fiatare, ma stampandomi un bacio in bocca che io accolsi con estremo piacere.
Tornai a casa e nemmeno la doccia riuscì a lavar via il suo odore.
Tornai a casa ma la mia mente era già proiettata al prossimo incontro.
Tornai a casa e mi resi conto, in quel momento, di non aver mai desiderato tanto una donna in vita mia.
 
Aveva le mani grandi, le dita affusolate, le unghie ben curate ma prive di qualsiasi smalto o lucido. Erano lunghe ed affilate abbastanza da strapparmi l'anima dal corpo, se solo lei avesse voluto. Non ci avevo fatto caso fino ad allora, nonostante il sabato precedente si fosse prodigata di graffiarmi il petto. Ma ora, in quel momento, mentre muoveva sapiente la mano sinistra sul manico della sua chitarra acustica, non potevo fare a meno di notare, di apprezzare, di desiderare quella mano. Ed avrei voluto si muovesse così leggera sul mio cazzo già duro. Non ho mai avuto il tempo di imparare a suonare uno strumento, ma sono un bravo cantante, così intonai qualche strofa mentre lei si dilettava con altrettanti accordi. Ho un timbro baritono e Silvia sembrava decisamente affascinata dalla cosa. Nonostante fossimo intenti in quell'improvvisato duetto, ci guardavamo con gli occhi di chi vuole spogliarsi, di chi vuole rotolarsi nudi tra le lenzuola ed accoppiarsi voracemente come animali. Non so dire di preciso per quanto tempo continuammo, ma ad una certa lei steccò un SI ed io sorrisi.
-Accidenti.- protestò lei poggiando la chitarra sull'apposito sostegno. -Sono decisamente arrugginita.-
-Ma no, sei brava invece.-
-Ero più brava una volta.- alzò gli occhi e mi fissò con sguardo carico di malizia. Avevo l'impressione che il discorso potesse essere ambiguo, così stetti al gioco.
-Beh...- risposi io. -L'esercizio di sicuro aiuta. Da quanto non lo facevi più?- un ghigno mellifluo stampato sulle labbra.
-Cinque anni.- guarda caso da quando ha divorziato, pensai all'istante. Ora ne avevo la certezza: non si parlava più di musica. Si adagiò su un fianco, poggiando la testa sullo schienale del divano, la mano sotto la nuca. Mi guardava, mi fissava, mi mangiava con quello sguardo figlio di due occhi di un colore indefinito, tendente al grigio topo, ma con venature che sfumavano in diverse tonalità di marrone. Sostenevo le sue occhiate con estrema naturalezza e questa mia apparente sicurezza la mandava chiaramente su di giri. In realtà non sapeva quanto nervoso fossi. E non per un'inquietitudine interiore, né per una mia insicurezza, piuttosto perché bramavo il suo corpo e volevo farla mia. Era tuttavia una sensazione strana: una gran parte di me voleva fotterla come una vacca da monta su quel divano, voleva riempirla con la mia carne e farle urlare il mio nome ai quattro venti, voleva possederla come una giumenta in calore e distruggerle ogni orifizio. Eppure, l'altra parte del mio essere voleva assolutamente continuare quel gioco di sguardi, un gioco di una perversione forse unica nel suo genere: scopare senza scopare, penetrarci le menti prima ancora dei corpi. E questo, devo ammetterlo, mi mandava fuori di testa più dell'atto in sé.
-Tu pure sei bravo a cantare.- fece lei d'improvviso, facendo virare di nuovo il discorso. La guardai spiazzato, lei se ne accorse e sorrise beffarda. Io cercai di assecondarla.
-Avevo un gruppo, una volta. Non ho mai avuto tempo di imparare a suonare uno strumento, ma cantare mi è sempre rimasto semplice.- spiegai.
-Hai una bella voce.-
-Pura fortuna.- scrollai le spalle, in fondo era vero. -Devo ammettere, però...- assunsi un'aria vagamente pensante. -...di non aver mai duettato con una donna.-
-Ah no?- dovevo aver suscitato la sua curiosità.
-No, decisamente no.- confermai.
-E quante altre cose non hai mai fatto?-
Bingo. Avevo preso in mano la conversazione. E sorrisi malizioso.
-Ad esempio...non sono mai stato con una...- feci una leggera pausa ghignando.
-...Milf?- concluse lei ricambiando il sorriso. Annuii senza dire una parola, lei si morse il labbro inferiore, un attimo dopo la lingua umettava quello superiore. Non me lo feci ripetere due volte e mi gettai a capofitto su di lei, che mugolò dal piacere. Spalancò le gambe ed accolse il mio corpo, e nonostante i Jeans coprissero entrambi riuscii chiaramente a farle sentire quanto il mio cazzo bramava la sua carne. Affondai il volto nell'incavo del collo mentre con le mani mi facevo largo sotto ai suoi vestiti, sui suoi fianchi, sulla sua pancia, sulle sue enormi tette. Con la lingua saggiavo ogni centimetro di pelle tra l'orecchio e la spalla, poi mi spostavo sul volto e schiudevo le mie labbra sulle sue, desideroso di sentire il suo sapore. Lei, d'altro canto, aveva le unghie infilate nei muscoli della mia schiena, sotto la T-shirt che non riusciva a contenere la sua frenesia. Mi strappava la pelle ed io mi eccitavo ad ogni affondo dei suoi artigli, ad ogni vigorosa carezza, ad ogni graffio che mi regalava. Scendeva fino ai fianchi, poi sull'addome, infine sul petto, e ritornava giù, a sfiorarmi il pacco, pur senza mai toccarlo. Senza indugiare ancora le alzai la maglietta e finalmente, per la prima volta, i miei occhi videro quelle giunoniche forme che svettavano dal suo petto. Non indossava il reggiseno, stavolta, come ad immaginare un epilogo del genere. Aveva almeno una quinta, le mie mani, nonostante siano grandi, non riuscivano a coprire tutta la sua carne. Strabordavano dalle mie dita, ballavano davanti al mio sguardo, ed esibivano capezzoli turgidi, duri, grossi come noccioline, dotati di areole ampie del color del caffelatte. Non potevo resistere un secondo di più ed affondai il volto in quel ben di Dio, succhiando e leccando come se non ci fosse un domani. Lei mi aiutò andandosele a stringere e le fece tremolare quasi a volermi schiaffeggiare. Quando rialzai lo sguardo in mezzo a quelle enormi tette, la vidi leccarsi gli angoli della bocca, la vidi mordersi il labbro, la vidi semplicemente infogliata come non mai. Senza accorgermene avevo portato le dita sul bottone dei suoi jeans e stavolta non ci fu nessuna pacca sul mio dorso, nessuno stop. Lei fece lo stesso con la patta dei miei pantaloni e di nuovo, io non opposi resistenza. Eppure, ad un certo punto ci guardammo, ci guardammo senza parlare, e capimmo ogni cosa.
Senza indugio la spogliai prima che lei lo facesse con me. Ero frenetico, meccanico nei movimenti, non volevo nient'altro che vederla nuda come madre natura l'aveva fatta. E quando ciò accadde avrei potuto sborrare senza nemmeno sfiorarmi. Le sue forme prosperose stavano lì, a meno di venti centimetri da me, su quel divano che la accoglieva alla perfezione. Aveva le gambe grosse, sode, il culo altrettanto largo che strabordava dal sedile del sofa. Le tette penzolavano dal busto e si allargavano ai lati del suo corpo mentre lei si stuzzicava un capezzolo con un dito della mano destra, la sinistra vicino alla bocca. Poi, con una lentezza disarmante, schiuse le gambe e per poco non svenni. Dinnanzi a me si apriva una fica che era palesemente già fradicia, coperta di peli folti e scuri, ben curati ai lati ma rigogliosi come un bosco di conifere. Rimasi ad ammirarla per istanti che mi sembrarono interminabili: vidi quella vagina pulsare, reclamare la mia carne, il mio volto, e non potevo farla attendere. Avrei voluto gettarmi a capofitto su quella fessura umida e bollente, ma decisi di farla impazzire iniziando a baciarle lentamente la coscia sinistra, aprendole gli arti inferiori tenendola sotto alle ginocchia. Poggiò i piedi nudi (che a differenza delle mani avevano unghie smaltate di rosso -avrò modo in altri capitoli di approfondire il discorso dei piedi-) sul mio petto, poi fece scivolare i talloni attorno alla mia nuca e mi tirava verso di sé, desiderosa della mia lingua. Non cedetti, ero io a comandare, ero io a decidere. E lei lo capì. La mia bocca scivolava sulla pelle della sua coscia ed arrivava fin quasi alla sua fica, senza tuttavia soffermarsi. Soffiavo il mio desiderio sul suo sesso bollente ed odoravo i suoi effluvi per attimi soltanto, prima di concentrarmi sull'altra gamba. Sentivo lei inarcare il suo corpo quando arestavo il mio volto davanti alla sua fica, voleva schiaffarmela in faccia, ma io avevo la volontà di farla morire di piacere...e ci stavo riuscendo. Passarono minuti prima che io decidessi di concentrarmi lì, in mezzo alle sue gambe, tra la sua carne fradicia e i suoi peli che sapevano di fresco. E quando lo feci, quando decisi di prendermi cura della sua fica, lei si lasciò andare in un mezzo grido intriso di piacere e soddisfazione. La mia lingua iniziò a farsi strada tra le pieghe della sua carne, la penetrai per alcuni secondi prima di spostarmi sul suo bottoncino che era già gonfio e pulsante. Portai le dita ad allargarle la fessura, così da aiutare il movimento della mia lingua, e vidi con piacere quanto le sue pareti fossero umide, traslucide dei suoi liquami. Istintivamente infilai due dita dentro di lei...e Silvia non potè trattenere un urlo. Iniziai a scoparla con le dita mentre mi concentravo sul clitoride, lo succhiavo e lo stuzzicavo con i denti e con la punta della lingua, strofinandolo sulle mie labbra. Nel frattempo, indice e medio erano piantati dentro il suo corpo e li piegavo verso l'alto, a strofinare i polpastrelli sulle sue pareti superiori. Mi resi conto della sua astinenza dopo pochi istanti: non servirono grandi manovre per farla esplodere di piacere sul mio volto. Sentii la sua mano tra i miei capelli spingere la mia faccia contro di lei, percepii il suo respiro affannato, strozzato, i suoi gemiti che le morivano in gola. Poi, d'un tratto ebbe un fremito e capii che era prossima all'orgasmo. Aumentai il ritmo e Silvia si lascio andare in un urlo liberatorio mentre la sua fica pulsava dinnanzi alla mia faccia. Raccolsi tutti quei liquami che lei mi stava donando e mi dissetai dei suoi sapori, ingoiando tutto il possibile per non sprecare nemmeno una goccia di quel nettare saporito. Sapeva di Silvia. Sapeva di donna.
Impiegò un pò per riprendersi, ma quando lo fece mi strappò letteralmente l'anima dal corpo. COn un moto di riscossa riservò a me lo stesso trattamento: ancora nuda, con la fica che colava, mi spogliò completamente, rimanendo anch'essa a contemplare il mio cazzo dritto, venoso e duro come il marmo dinnanzi al suo volto. Allargò le gambe e salì a cavalcioni su di me, la fica a due centimetri dalla mia cappella...ma non si penetrò. No, piuttosto afferrò l'asta con il palmo della sua mano ed iniziò una lenta sega, strofinando la punta del cazzo sul suo clitoride. Poi scivolò in ginocchio, mi aprì le cosce e si insediò con il suo giunonico corpo tra le mie gambe, con quelle tette enormi a strofinarmi i coglioni. La faccia si abbassò sul cazzo e senza preavviso alcuno lo fagocitò per intero, ficcato tutto fino in gola. Ora...io ho la fortuna di superare quota 20...e devo ammettere che la cosa mi sorprese perché nessuna era mai riuscita a metterselo tutto in bocca con quella semplicità. Sgranai gli occhi e mi abbandonai alle sue cure su quel divano, alzando il volto verso il soffitto. Iniziò uno dei migliori pompini della mia vita, fino ad allora, un record che soltanto Silvia stessa riuscì ad abbattere. Accompagnava il movimento di labbra e lingua con una sega lenta e ben fatta, e la sua saliva, che colava come un rubinetto aperto, rendeva l'attrito quasi nullo, come se il mio cazzo fosse effettivamente infilato in una vagina. E in tutto questo lei, da vera vacca, mi guardava, mi guardava con quegli occhi carichi di sesso, di voglia, di cose rimandate alla volta successiva. Io l'avevo capito dalla prima occhiata, nel momento esatto in cui la spogliai...e mi andava bene così. La voglia di farcirla era arrivata alle stelle, la voglia di sbracarle la fica era tangibile, ma di nuovo resistetti. E non so come.
Silvia era vorace. Divorava il mio cazzo, leccava la mia cappella salendo con la lingua dalle palle fino alla punta, poi se lo sbatteva in faccia, lasciando sulle sue guance tracce della sua stessa saliva. Non mi serviva parlare per dirle cosa doveva fare, lei era già perfetta. Era perfetta per me, per i miei gusti, per ciò che mi piaceva...e lei lo sapeva. Sapeva tutto. Sapeva persino il momento esatto in cui stavo per raggiungere l'orgasmo perché semplicemente lo leggeva nei miei occhi prima ancora di sentirlo dalle pulsazioni del mio bastone. Non fece una piega. Continuò a pomparmi e a segarmi con una semplicità estrema fino a quando non eruttai litri di sborra calda nella voragine che aveva per bocca. Non si fermò nemmeno quando le scaricai dentro un pezzo di me, della mia anima. E non si fermò nemmeno quando cercai di divincolarmi perché mi stava andando a fuoco la cappella. Si fermò solo quando volle lei. Si fermò quando ormai ero esausto. Si fermò quando ormai era completamente dissetata. Lasciò solo un rivolo di sperma fuori, e se lo fece colare sul labbro inferiore, sul mento, sulle tette...e mi guardò fissa, senza fiatare, ma stampandomi un bacio in bocca che io accolsi con estremo piacere.
Tornai a casa e nemmeno la doccia riuscì a lavar via il suo odore.
Tornai a casa ma la mia mente era già proiettata al prossimo incontro.
Tornai a casa e mi resi conto, in quel momento, di non aver mai desiderato tanto una donna in vita mia.
E si, proprio un bel racconto. Complimenti
Hai incontrato anche una Donna con la D maiuscola, bravo a corteggiarla e bravo a resistere agli istinti animaleschi a favore del classico "con le donne si fa cosi". Bravo davvero
 
Premessa. I nomi sono fittizi, i dialoghi leggermente romanzati. Non chiedete foto, non ne mando.

Dalle mie parti non è semplice conoscere una ragazza. Le donne, qui, non solo non danno confidenza, ma preferiscono fuggire dalla piccola realtà del paese per raggiungere l'habitat cittadino, a circa un'ora di strada. Ora, non che non abbia voglia di inseguire l'acre odore della vagina, ma mi rimane difficile con il lavoro e quant'altro. Mi occupo di consegne e la maggior parte del mio tempo lo impiego a guidare un mezzo, che sia un'auto, un furgone, un camion. Mettetevi nei miei panni: è vero che per la figa uno farebbe di tutto, ma sinceramente quando ho un attimo libero tendo a recuperare le energie e a spalmarmi sul divano. Quando succede ho un passatempo che mi consente di imbastire e tessere le trame dei futuri incontri. In una parola...Instagram. Non so perché, ma risulto piacevole alle donne. Direte voi, che c'è di male...il punto è che non ho nemmeno una foto mia, nel profilo. Avrò al massimo cinque o sei foto esclusivamente di paesaggi, senza nemmeno una frase strappamutande. Semplicemente dedico molta attenzione ai dettagli e scelgo i miei bersagli, riuscendo a capire quali donne sono più disponibili e quali invece sono obiettivi impossibili. Ho ricevuto anche tanti no, ovviamente, ma altrettanti sì. E quello che voglio narrarvi è il rapporto che si è creato tra me e uno di questi sì.
Si chiamava Silvia e l'ho conosciuta con un paio di like e altrettanti commenti alle sue foto di tramonti. C'era qualche foto di lei che avevo chiaramente notato, ma che avevo ignorato appositamente: mi serviva una scusa per parlarle, e presentarsi facendole i complimenti per il suo davanzale o per il suo sguardo mi sembrava banale e fuori luogo. Scelsi perciò la via artistica: presi la palla al balzo quando inserì una storia con uno scorcio mozzafiato ed una canzone a tema, riuscendo così a catturare la sua attenzione. Iniziammo a parlare del più e del meno e mi resi conto che discutere con lei era davvero piacevole. Deve aver avuto la stessa sensazione anche lei, perché quando la invitai a cena non esitò ad accettare. E non glielo chiesi, ovviamente: non le lasciai scelta. Domandarglielo mi avrebbe fatto perdere tempo e l'avrebbe messa sulla difensiva. Si sa, le donne tendono sempre a temporeggiare quando chiediamo di uscire, motivo per cui ho imparato a non chiederlo più. "Sei invitata a cena domani sera" sono le sei parole che mi hanno fatto scopare più di qualsiasi altra cosa. Comunque, l'appuntamento era ormai fissato. Le dissi che avrei potuto cucinare per lei ma che non potevo ospitarla in quanto condividevo (e condivido tuttora) un appartamento con due cari amici, cosa che le fece subito abbassare qualsiasi barriera. "vieni da me", disse...ed io non aspettavo altro.

"Vieni per le 21, il tempo di portare mia figlia da un'amica." mi disse quella sera. Silvia all'epoca aveva quarantanni, una figlia di diciannove e divorziata da cinque. Decidemmo entrambi di non mostrarci troppo, sulla chat di instagram. E' vero, lei aveva qualche foto di sé, ma erano foto in cui si vede tutto e niente, giochi di ombre e penombre, che lasciano spazio più all'immaginazione che alla vista. Nel tragitto che mi divideva da lei, all'incirca un quarto d'ora di strada, fantasticai con la mente. Avevo raccattato le informazioni che lei mi aveva dato e le avevo mescolate alla rinfusa per cercare di stamparmi una pericolosa foto in testa di come poteva essere, ma non riuscii a metterla per bene a fuoco, cosa che da una parte mi infastidiva, dall'altra aumentava l'eccitazione per la sorpresa. Alla fine arrivai e lei era già sull'arco della porta. Fuori era notte e lei era illuminata solamente dalla luce di una lampadina che svettava dall'uscio. Aveva il maglione bianco, scollato, pieno del suo grosso seno che premeva sulla lana. Un paio di jeans neri faticavano a trattenere un ampio sedere e le cosce, belle grandi ma sode, gonfiavano la stoffa dei pantaloni e reclamavano libertà. La guardai in volto e sorrisi, lei fece lo stesso. Occhi che tendevano al grigio, labbra rosate e capelli corvini, il volto dalla pelle vagamente arrossata per via del calore della sua abitazione. Mi avvicinai, l'abbracciai e ci scambiammo i classici baci sulla guancia. Non riuscii a capire l'aroma del suo profumo, ma non lo dimenticherò mai, motivo per cui potrei riconoscerla anche tra una folla di centinaia di persone.
-Benvenuto!- mi disse con un filo di voce mentre anche lei stringeva le sue mani sulla mia schiena. Mi invitò ad entrare e venni accolto dal crepitare del fuoco nel camino, dal profumo di legna messa ad ardere e dal tepore della sua abitazione.
-Vieni!- mi fece strada verso la cucina.
-Che c'è, vuoi mettermi subito a lavoro?- chiesi io in un mezzo sorriso.
Ricambiò mentre mi toglievo il giubbetto e mi divertii ad intercettare il suo sguardo che si fissava sulle mie braccia. Sono sempre stato ben messo, fisicamente, ma da quando ho iniziato questo lavoro devo dire che le braccia, le spalle e la schiena hanno raddoppiato il loro volume. Mi trovo spesso a staccare pacchi pesanti e gravi di ogni genere, e i risultati, nel lungo periodo, si vedono. Comunque, feci finta di nulla e mi misi a cucinare.
A tavola parlammo poco, non sono abituato a discutere davanti ad un piatto. Dovetti spiegarglielo perché sembrava aver perso quel suo brio iniziale quando mi vide in silenzio. Mi sorrise e mi disse di non preoccuparmi e aggiunse che avremmo parlato successivamente.
Prendemmo un calice di vino a testa e ci spostammo sul divano, di fianco, davanti al camino.
-Devo farti una domanda.- mi disse lei ad una certa.
-Dimmi pure.- poggiai il bicchiere sul piccolo tavolino che avevamo di fronte ai piedi.
-Perché ti interessi ad una vecchia come me? Voglio dire, hai ventisette anni, puoi avere chiunque.-
-Vecchia è una brutta parola, non trovi? Per me non sei così vecchia, anzi.-
Non rispose. Mi fissava con quegli occhi pieni di nostalgia degli anni andati, ma altrettanto colmi di quella voglia di riscatto per una vita che non era andata come voleva. Le spiegai che non avevo troppa voglia di perder tempo con quelle della mia età: cercano altro, cercano il riccone di turno con la macchinona, tutti belli agghindati. Io mi sentivo più vecchio di lei, all'epoca: non ero tagliato per le discoteche, per uscire il sabato sera, per star dietro alla vita mondana delle ragazze coetanee. Volevo qualcosa di più profondo, qualcosa che andasse oltre l'aspetto fisico, che andasse oltre l'amore o una semplice scopata.
-Per quanto...devo ammettere che tu mi piaci molto anche dal punto di vista estetico.- aggiunsi in un mezzo sorriso beffardo.
-Ma dai, sono in sovrappeso!-
-Dipende dai punti di vista. Dal mio no.- commentai tornando a bere.
Di nuovo rimase in silenzio, il bicchiere tra le mani, poggiata sullo schienale del divano con il suo fianco destro, così da potermi studiare meglio. Mi sentivo sotto osservazione, ma mi piaceva da morire. Non feci in tempo ad aprir bocca che lei si era accoccolata con la testa sulla mia spalla, ed i capelli finivano poco sotto alle mie labbra, tra i peli ruvidi della mia barba. Non ci pensai due volte e le schioccai un bacio sulla nuca...lei alzò il viso e lo avvicinò al mio...ed in un attimo le nostre labbra si toccarono. un bacio casto, dapprima, poi sempre più vizioso, voglioso l'uno dell'altro. Le nostre bocche si schiusero e le lingue s'intrecciarono in un lungo abbraccio e le mani iniziavano a studiare i corpi altrui. Passò appena una manciata di secondi prima di trovarmi le sue mani sui fianchi, e prima che io cercassi i suoi con le mie. Inutile dire che all'istante il cazzo mi si gonfiò nei jeans per tutta la situazione: lei era la mia prima milf e la serata, con il fuoco, la cena, il vino, era stata davvero piacevole. Dio solo sa quanto avrei voluto riempirla della mia carne, quella sera...ma dovrò deludervi dicendo che ciò non accadde. Lei mi salì sopra ed iniziò a strofinarsi voluttuosamente sul mio vistoso rigonfiamento mentre continuavamo a baciarci come ragazzini di quindici anni carichi di ormoni. Le mie dita, ormai, avevano studiato ogni centimentro della sua pelle, sotto quel maglione che, forse per un gioco perverso di sguardi, avevo deciso di non toglierle. Le tastavo le tette da sopra il reggiseno e solo allora mi accorsi, pur senza guardarle, della loro dimensione. Erano enormi e a giudicare dai poderosi bottoncini che stuzzicavo oltre la stoffa con le mie dita, doveva avere dei capezzoli grossi come la falange del mio dito. Ero più ormoni che carne, in quel momento. Le ficcavo la lingua nella bocca, poi cercavo il suo collo e la mordevo, succhiavvo il lobo del suo orecchi e la sentivo gemere mentre alzava il volto verso il soffitto. E non la smetteva, non la smetteva mai di strofinarsi sul mio cazzo, nonostante i pantaloni che non accennava a sbottonare. Presi l'iniziativa e ci provai io, ma lei mi diede un colpetto sul palmo della mano, abbassò la faccia vicino al mio volto e mi sussurrò una sola parola, carica di malizia.
-Scordatelo.- disse con un filo di voce. Ed io mi arrapai ancor di più. Lei mi graffiava il petto da sopra la maglia, le sue unghie penetravano poi nella carne dei miei bicipiti venosi e i suoi denti ricambiavano sul mio collo il trattamento che io avevo riservato al suo. Succhiava con quelle labbra la mia pelle, la mia carne, la mia anima...e non lo faceva dal cazzo. Avrebbe voluto farlo perché ad una certa scivolò davanti a me e si mise in ginocchio con la faccia tra le mie gambe. Le mano sinistra giocò con il mio corpo per un altro pò fino a giungere alla patta dei miei pantaloni...e gliel'avrei fatto svettare davanti al muso, le avrei infilato le palle in bocca e dio solo sa cos'altro le avrei fatto quella sera...ma ebbi come un moto d'orgoglio. O fu più che altro un gioco. Colpì la sua mano come lei aveva fatto con la mia, scossi la testa e sorrisi beffardo.
-Scordatelo.- risposi.
Non so ancora come io abbia fatto a resistere. Non so nemmeno perché decisi di resistere, a dire il vero. E non so neeanche quanto ancora sarebbe durato quel perverso gioco...poi il suo cellulare squillò e noi tornammo alla realtà: erano le due ed era in ritardo per sua figlia.
Ci salutammo sull'arco della porta con un abbraccio e un bacio molto poco casto, con l'intenzione di rivederci qualche giorno dopo.
Ce ne sono molte di cose da raccontare, con Silvia...e se vi è piaciuto potrò andare avanti. Quella notte, comunque, una volta nella mia camera, dovetti spararmi due seghe per poter calmare i miei bollori...
Hai tuttissima la mia invidia..... ho qualche anno meno di te, anche io ho avute esperienze con donne più grandi: ma ho sempre dovuto non solo patire e lavorare, oltrechè doverci avere a che fare DI PERSONA, con rischi e trascorsi di arrabbiature, offese e minacce eh..... Ma la mia invidia e' sopratutto per il tuo saper "agganciare" via social! Cazz.... vorrei essere capace io. Davvero: ho anche io un paio di amici "alpha" su FB, Instgram o che..... e con maestria porcoddue, hanno successi! E' un'arte che invidio, ma che non imparerò mai porcoggiuda...... Tutta la mia stima: bella storia davvero! :)
 
grazie a tutti! Appena ho un attimo di tempo vado avanti ;)

Hai tuttissima la mia invidia..... ho qualche anno meno di te, anche io ho avute esperienze con donne più grandi: ma ho sempre dovuto non solo patire e lavorare, oltrechè doverci avere a che fare DI PERSONA, con rischi e trascorsi di arrabbiature, offese e minacce eh..... Ma la mia invidia e' sopratutto per il tuo saper "agganciare" via social! Cazz.... vorrei essere capace io. Davvero: ho anche io un paio di amici "alpha" su FB, Instgram o che..... e con maestria porcoddue, hanno successi! E' un'arte che invidio, ma che non imparerò mai porcoggiuda...... Tutta la mia stima: bella storia davvero! :)
in realtà è molto più semplice di quello che sembra. E' solo questione di catturare i dettagli chiave!
 
L'abitazione di Silvia dominava un dolce pendio attorno al quale si estendevano campi incolti, in cui crescevano erbe spontanee e piccoli arbusti. Era l'ultima casa, l'ultimo approdo prima delle montagne, che si stagliavano all'orizzonte in tutta la loro maestosità. La terza volta che ci vedemmo arrivai che non erano nemmeno le 15. Era più o meno metà marzo ed iniziava a far caldo. Dovevo sempre inventarmi parcheggi strani visto lo spazio ridotto e così anche quella volta, solo che lei non era sull'uscio a guardarmi come nelle precedenti puntate. Suonai il campanello, bussai, ma non ci fu risposta. Era uno dei suoi giochini? O era davero affaccendata in qualcosa? Decisi di non chiamarla, piuttosto iniziai a perlustrare il giardino tutt'intorno, alla ricerca di lei. Ed eccola, alla fine, proprio nel retro, intenta a curare un cespuglio di rose. Silvia era la classica donna di campagna e non temeva né il freddo, tantomeno le intemperie. L'erbetta corta del prato ospitava i suoi piedi scalzi ed il mio sguardo cadde proprio lì, per poi salire e seguire le curve del suo corpo. Aveva un vestitino a fiori che le lasciava scoperti i polpacci e si alzava leggermente per via della sua posizone, mostrando una vaga fisionomia di quelle cosce grosse e sode che ormai conoscevo. Sembrava fatto di proposito, quell'abito: corto abbastanza da farti arrapare, lungo il giusto da coprire il culo, che tuttavia non passava di certo inosservato piegata com'era in avanti. Il primo pensiero fu...scopala. Il secondo fu...inculala. Vinse il buon senso...o forse il fatto che lei si voltò e mi vide. Aveva le cuffie alle orecchie, il volto lievemente arrossato per lo sforzo o per il sole e i capelli legati dietro la nuca, con un ciuffo ribelle che cadeva vicino alla tempia. Il vero spettacolo però era il suo volto. Non il suo seno, che pure strabordava da quello straccio che aveva addosso, non i suoi capezzoli che sembrava volessero bucare il vestito, piuttosto proprio il suo viso. Un connubio perfetto: aveva le labbra deturpate da un sorriso innocente, ma lo sguardo da donna viziosa, maliziosa, vorace. E la cosa mi mandava fuori di testa più del suo fisico giunonico. Con un lento movimento estrasse gli auricolari che attorcigliò sullo smartphone, lo posò a terra sull'erba e mi venne incontro con passo lento. La emulai, quindi ci abbracciammo per un attimo e ci baciammo, staccandoci un istante dopo.
-Ti aspettavo. Vieni, devi darmi una mano.-
-Volentieri.- risposi io, stavo già pensando ai modi in cui fotterla.
Lei se ne accorse, mi prese per mano e mi trascinò dietro ad una siepe.
-Non farti strane idee. Devi lavorare.-
-Che? Oggi che avevo mezza giornata libera mi fai lavorare?- protestai.
-Eddai, altrimenti dovrei farlo io. Così almeno ci sbrighiamo, poi...- fece lei strizzandomi un occhio. Era un ricatto forse? Lì per lì non ci pensai. Inoltre, devo ammetterlo, quella donna mi intrigava più del concetto di Milf. L'avrei fatto ugualmente. In un certo senso...mi faceva piacere far parte della sua vita.
Dietro la siepe, comunque, mi spiegò il problema: in pratica dovevo abbattere un mezzo tronco a colpi di scure in modo tale da poter liberare quello spazio ed adibirlo a parcheggio.
-Ah, buon per me. Almeno non dovrò inventarmi chissà quali manovre-
Sorrise divertita. Non dissi nulla sul fatto che le piante non devono essere tagliate in quella maniera da cani: non si lasciano mai i moncherini così, ad un metro da terra. Non dissi nulla nemmeno sulla scure, visto che aveva la testa un pò ballerina...semplicemente mi adattai ed iniziai a colpire il pezzo di legno. Con mia grande sorpresa, però, lei non rimase a guardarmi come speravo. Mi liquidò dicendo -Tu fai qui, io finisco di curare le rose.-
-Che tipa.- pensai in un mezzo sorriso mentre cercavo di sbrigarmi. Alla fine, vuoi per l'inefficienza dello strumento, vuoi per la larghezza del tronco, impiegai più tempo del previsto. Molto sudore e molte imprecazioni dopo tornai da lei con il tronco in spalla, tanto a furia di portar pacchi ci ero abituato.
-Dove te lo metto?- chiesi malizioso, di proposito, strizzandole un occhio.
Le rise di gusto mentre si metteva di nuovo in piedi. Stavolta lo vidi, si soffermò chiaramente sul mio braccio e sulle mie spalle, ma distolse subito lo sguardo e mi disse di appoggiarlo più in là, vicino al tronco del moro. Ci avrebbe fatto qualcosa, mi disse, e parlando venne fuori che lei era molto abile in campo artistico. Sapeva disegnare e dipingere, oltre che suonare e a quanto pare era anche bravina con il legno.
-Sì ma quello è un tronco.- feci io.
-Sono brava comunque con la roba grossa.- mi liquidò lei nuovamente, tornando al suo lavoro.
-Hai qualche altro lavoretto?- chiesi io mentre le fissavo spudoratamente il culo.
-No, puoi andarti a fare una doccia. Trovi tutto in bagno, gli asciugamani sono nel primo cassetto sotto al lavandino.- estrasse le chiavi dalla tasca del vestito e me le lanciò, strizzandomi un occhio.
Non dissi nulla, avrei voluto spaccarla in quella posizione, ma l'attesa era quasi più eccitante del fatto in sé. Quella donna aveva un certo potere, su di me. Quella donna mi lasciava piena libertà d'azione, perchè avrei potuto di fatto agire a mio piacimento, ma non lo facevo...e non lo facevo perché ero curioso di vedere cosa sarebbe successo. Ed ora? Continuavo a domandarmi. E mi arrapava come non mai.
Mi limitai a salutarla ed entrai in casa in fretta e furia. Sono un tipo che suda molto, in effetti, e per via della prima calura e del lavoro svolto ero praticamente fradicio. Una volta in bagno mi spogliai rapido e mi gettai sotto la doccia bollente, iniziando ad insaponarmi velocemente.
Ora, mi prenderete per matto, ma io odio far sesso mentre mi lavo. E lo odio per un semplice motivo: la doccia è un momento mio, soltanto mio, in cui riesco a rilassarmi completamente. Entro quasi in meditazione mentre l'acqua cade sulla mia pelle e questo mi consente di rinascere ogni volta, come un'araba fenice. Per questo chiusi la porta a chiave: e se fosse entrata? pensai. Non volevo bruciare la mia ipotetica prima volta con lei in un luogo a me non consono.
Non so dire quanto tempo trascorsi chiuso nel mio spazio, immerso nei miei pensieri. Per un momento mi dimenticai persino di Silvia e del fatto che ero nella sua doccia. Impiegai attimi interminabili prima di riprendermi...ma quando accadde ero più vivo che mai. Mi ritrovai un secondo dopo in bagno, frizionavo i capelli con un asciugamano mentre con un altro avevo già coperto il cazzo e parte delle mie gambe. Ero finalmente pronto ad uscire da lì...e di nuovo mi tornò in mente la stessa, identica domanda...e ora?
Davanti alla porta del bagno mi guardai intorno e di Silvia non c'era traccia. Credevo di trovarla ancora in giardino, per questo mi affrettai a raggiungerla attraversando scalzo il lungo corridoio che divideva la zona notte dalla zona giorno. Confesso di essermi sentito molto a mio agio, in quella casa, persino da nudo, forse perché essere immersi così nella natura risvegliava il mio spirito più selvaggio.
Non impiegai molto a raggiungere il portone principale. Avevo ancora l'asciugamano in testa e i suoi lembi mi coprivano la visuale, per cui il mio sguardo catturava soltanto ciò che aveva davanti, un pò come i cavalli. Ora, il corridoio terminava sul salotto e proprio alla fine del corridoio, a destra, c'era quel divano dove tanto ci eravamo divertiti. Succedeva che il corridoio ed il pavimento erano separati da due o tre scalini, motivo per cui, una volta oltrepassati, uno si trovava il divano ormai alle spalle: non c'era modo di vederlo se non girandosi...e perché girarsi se la mia meta era un'altra? Per questo allungai la mano sulla maniglia del portone che mi avrebbe portato all'esterno, ma non lo feci...non potevo farlo...e non potevo farlo perché, lo capii al volo, all'esterno non avrei trovato nessuno.
-Ma che fortuna.- la sua voce mi fece trasalire. -Un bel ragazzo lavora per me e si lava nella mia doccia.- mi voltai di scatto e la vidi. La vidi ed il cuore saltò qualche battito. Silvia era seduta sul divano, accoccolata tra i cuscini, con i piedi poggiati sul sedile ed il vestito completamente alzato per via di quella posizione. L'aveva fatto di proposito a non attaccare i talloni così da farmi osservare per bene le gambe, oltre le quali si intravedeva una striscia di pelo che fuoriusciva dalle mutande scure.
Deglutii mentre il cazzo iniziava ad indurirsi sotto l'asciugamano, lasciando poco o nulla all'immaginazione. -Non ti avevo vista.-
-Lo so.- incalzò lei. Non si muoveva, semplicemente mi guardava con quegli occhi simili a ghiaccio e quel sorriso stampato sul volto. Il seno sinistro, nel frattempo, era scivolato fuori dal lembo del vestito ed il capezzolo svettava all'aria come una delle montagne che si stagliavano all'orizzonte.
Di nuovo non ci fu bisogno di dire altro. Stavolta lo sapevo, sapevo quello che sarebbe successo. Mi bastava vederla in volto per capire e a lei bastava vedere me per intuire quello che bramavo più di ogni altra cosa al mondo. Mi avvicinai mentre facevo cadere l'asciugamano, rimanendo praticamente nudo. Il cazzo, senza quella costrizione, balzò sull'attenti ed era ormai pronto. Pulsava, sentivo il sangue fluire nella mia asta, e credo di non aver mai avuto, fino ad allora, un'erezione così possente. Mentre mi accostavo lei lentamente aprì le gambe e fece scivolare la mano sotto le sue mutande, iniziando a toccarsi debolmente. Le balzai addosso e lei, come la volta precedente, portò rapidamente le mani sul mio corpo, iniziando a graffiarlo come una tigre fa con la sua preda. Stavolta si soffermò maggiormente sui glutei che strizzò e tastò con voglia crescente. Io, nel frattempo, infilavo la lingua in ogni anfratto della sua carne, non risparmiando labbra, collo, clavicola, orecchio, e mi divertivo ad alternare baci roventi a morsi profondi, nemmeno fossi un vampiro. Lei mugolava, muggiva dal piacere e spalancava la bocca quando non aveva le labbra serrate dalle mie, e mi stringeva a sé con tutte le armi che aveva. Le mani, ad esempio, che si spostarono sui miei dorsali...e le gambe. Lo fece, finalmente. Si avvinghiò al mio bacino intrecciando i piedi e puntando i talloni sui miei fianchi, cercando a tutti i costi di spingermi verso la sua intimità. Avrei potuto resistere, ma sul momento valutai di aver atteso anche troppo: io la volevo. Volevo penetrarla, volevo entrarle dentro, volevo aprirla con la mia carne. Non avevo tempo nemmeno di sfilarle le mutande, piuttosto le spostai alla rinfusa e puntai la mia cappella sulla sua fica umida, bollente, che pulsava già dal desiderio.
-Fai piano.- mi sussurrò all' orecchio mordendomi il lobo.
Con una lentezza che non mi apparteneva, in quel momento, feci scivolare la punta dentro di lei e la sentii già ringhiare. S'aggrappò con le unghie sulla mia schiena, lacerandomi pelle ed anima, mentre con i talloni continuava a spingermi nella sua caverna. Il mio cazzo era di marmo, lo sentivo gonfiarsi ogni secondo di più mentre le pareti della sua vagina si schiudevano al mio passaggio, e avviluppavano la mia carne in un caldo abbraccio. Poi, gli ultimi centimetri glieli sparai dentro con un colpo secco, facendole battere le palle sul culo. Lei sbarrò gli occhi ed urlò, spaccandomi la carne dei miei dorsali con quelle unghie che parevano artigli. Rimasi lì dentro, immobile per attimi che sembravano interminabili. La sensazione di farcirla, di riempirla era qualcosa di trascendentale. Non si può descrivere: quella donna mi voleva, mi voleva davvero. Voleva me, non aveva solo voglia di scopare, piuttosto voleva scopare con me, con me soltanto. E a me questa cosa mandava fuori di testa. Sentivo la sua fica pulsare attorno al mio membro, ed oltre ad intrecciare i nostri corpi sembrava che pure le nostre anime si stessero abbracciando. Era qualcosa che andava oltre l'amore, qualcosa che non ho più vissuto con nessun'altra.
Le ficcai la lingua in gola mentre iniziai a fotterla. Mi muovevo con ritmo crescente e le facevo sbattere la punta del cazzo sull'utero tanto andavo in profondità. Lei aveva la bocca piena e non poteva parlare, ma quando ciò accadeva mi colpiva a pugni sui fianchi e allora le liberavo le labbra, in modo tale potesse urlare. Gridava il mio nome e mi intimava di non fermarmi mentre invocava divinità a me sconosciute, mi guardava negli occhi e mi ruggiva sul volto tutto il suo desiderio, tutta la sua voglia. Il mio cazzo la stava aprendo, stava togliendo le ragnatele dalla sua fica, che ora era grondante di umori e depositava vistose macchie biancastre sulle pareti della mia asta. Avevo le mani strette attorno al suo collo, lei mi stava sventrando la schiena ed io, nel frattempo, le rompevo la fica come avrei voluto fare già dalla prima volta. Continuammo per un tempo indefinito in quella posizione quando lei mi disse che voleva salirmi sopra. -Voglio cavalcare il tuo cazzone.- mi disse. Io le diedi altri due colpi e mi sfilai da lei, mettendomi seduto sul divano. Lei si alzò e si spogliò completamente, sfilandosi le mutandine ed il vestitino. Poi, quando si avvicinò a me, ebbi un dejavu: la vidi allargare le gambe e salirmi sopra, accarezzandosi la fica con la cappella...ma stavolta non scivolò con la faccia sui miei coglioni, stavolta non s'infilò il cazzo in bocca, fino alla gola...piuttosto si penetrò con un colpo netto, infilzandosi come un pollo allo spiedo. Di nuovo urlò. Reclinò la testa all'indietro ed io allungai le mani su quelle tette enormi che ora ballavano ad ogni colpo inferto dal suo corpo. I suoi artigli, poi, finirono sul mio petto e martoriarono pure quello, lasciandomi segni che sarebbero durati per giorni e giorni. Io godevo come non mai. Il suo corpo così formoso, così carnoso mi mandava in pappa il cervello, il suo modo così frenetico di scoparmi mi faceva sentire in estasi, e la sua voglia di me mi stava facendo avere la più potente erezione della mia vita. Era talmente aperta, talmente bagnata che il mio cazzo più volte scivolò fuori dalla sua voragine. Quando lo rimettevo dentro provavo ad appoggiarglielo sul buco del culo, ma lei scuoteva la testa divertita, ficcandoselo nuovamente nella fica. Nel frattempo, mi accorsi di non avere abbastanza mani a mia disposizione. E' vero, stavo tastando quei seni spropopositati, ma volevo pure stringerle i fianchi, schiaffeggiarle il culo, stringerle il collo. Decisi di afferrarla per il bacino con la mano sinistra, mentre con la destra le coprivo la natica, battendo vigorosamente il palmo sulla sua carne. Inoltre constatai che portando l'indice sul buco del culo lei non si scansava, ed anzi, ansimava con più vigoria, intimandomi di continuare. Lo feci mentre sincronizzavo i movimenti del mio bacino con quelli del suo, riuscendo a farle arrivare il cazzo a fine corsa anche in quella posizione. Quando lei aumentò il ritmo io mi adeguai. Poi cominciò ad urlarmi in faccia di scoparla come una vacca in calore ed io ebbi paura di perdere il controllo e di spruzzarle nella fica tutto il mio nettare. Mi stava arrapando troppo, ma per fortuna riuscii a resistere un attimo in più. Un attimo, uno soltanto, un solo singolo istante: un urlo più vigoroso dei precedenti squarciò il silenzio, il suo corpo fu scosso da tremiti e lei si accasciò per un momento sul mio petto, con le mani aggrappate alla mia carne. Muggiva come una vera vacca, ansimava stremata mentre stringeva le gambe sul mio bacino e la fica sul mio cazzo. Le pulsava come non mai, e non avevo dubbi sul fatto che aveva appena raggiunto l'orgasmo. Attesi che si riprendesse, volevo farglielo godere tutto, quel momento. Aspettai che le tornassero un minimo di forze e che le contrazioni della sua vagina diminuissero prima di tirarglielo fuori. Mi sfilai da sotto il suo corpo e Silvia cadde in avanti, sul divano, alla ricerca di un minimo di riposo. Io avevo altri piani però: la feci posizionare a quattro zampe, le allargai per bene le chiappe e rimasi li, a stuzzicarle il buco del culo con la cappella mentre mi godevo le sue grosse chiappe che tremavano ad ogni ceffone. Lei mugolava ma continuava a ripetermi di non ficcarglielo dietro, cosa che ormai avevo ben capito...solo che poggiarle la punta lì mi mandava ai matti. Istintivamente, con un colpo di reni della mia volontà, glielo feci affondare nella fica calda, senza preavviso. Silvia si spostò in avanti soffocando un urlo con il cuscino del divano, poi spostò il corpo all'indietro, come a volersi penetrare con maggior foga. Io la sbattevo davvero, ora. La montavo come una giumenta facendole sbattere i coglioni sullo spacco della fica, che ora grondava come non mai. Le afferrai le braccia e la tirai indietro, in modo da poterle arrivare più in fondo possibile...e lei gemeva, gemeva come una puttana...ed anzi, me lo diceva. Mi diceva di essere la mia troia, che voleva farsi trattare come tale da me, che adorava sentirsi riempita dal mio cazzo come se fosse una mignotta qualsiasi. Solo che per me non era una mignotta qualsiasi. Ancora non lo sapevo, ma sarebbe diventata molto più di un semplice pezzo di carne.
Continuai per un bel pezzo senza fermarmi fino a quando le sue carni non vennero sconquassate nuovamente da un violento, intenso orgasmo. Rimasi di nuovo dentro di lei tutto il tempo necessario per il suo piacere, poi fu lei a sfilarsi. Quando si voltò io ero in piedi davanti a lei, Silvia era seduta sul divano, mi guardava con sguardo soddisfatto, appagato, il volto travolto da una miriade di emozioni. Ma quello che mi disse in quel momento aumentò, se possibile, la mia eccitazione fino alle stelle. Mi guardò per un singolo istante, le tette schiacciate sotto al suo braccio, il dito indice tra le labbra. Tre sole parole, tre semplici parole che mi fecero tremare.
-Sborrami sui piedi.-
Non potevo crederci. Era quello che avevo sempre sognato. Per un attimo credetti di vivere all'interno di un mio sogno. Perché quella era la donna dei miei sogni. Poi, quando alzò le gambe a mezz'aria, quando quei piedi perfetti, dalle unghie smaltate di rosso afferrarono il mio cazzo e cominciarono a segarmi, io cedetti. Alzai bandiera bianca perché era troppo, troppo anche per me. In un istante venni e le schizzai addosso un quantitativo di sborra abominevole. Le imbrattai i piedi, le dita, le caviglie, le gambe, la pancia e colpii persino il volto nella posizione in cui era messa. Ed ero talmente eccitato che il cazzo mi rimase dritto per altri dieci minuti buoni, probabilmente. Gemevo come un ragazzino alla sua prima sega, quando scopre la nuova sensazione e non riuscivo a smettere di sborrare, manco avessi un idrante al posto del cazzo. Prima di gettarmi sul divano vidi lei raccogliere uno schizzo dalla sua guancia e portarselo alle labbra con la punta del dito, poi stremato mi lasciai andare e caddi sul sofa. Lei mi si accoccolò, posò la testa sul mio petto ed io l'abbracciai. La troiaggine precedente sembrava essere definitivamente sparita. Mi bacio il torace, proprio sul punto in cui prima mi aveva squarciato, quindi tornò con la guancia sulla mia carne e rimase lì per istanti lunghissimi. Aveva quarant'anni ma in quel momento era come una bambina.
D'un tratto si voltò. Mi fissò con quello sguardo muto, che non aveva bisogno di parole per farsi capire. Mi osservò e sembrava la conoscessi da cent'anni, e da cent'anni pareva che anche lei mi conoscesse. Con una lentezza disarmante le sue labbra si schiusero...e mentre mi accarezzava il petto con la punta del dito disse una frase che, a distanza di tempo, non ho bisogno di romanzare. rimarrà stampata nella mia mente per sempre.
-Non avevo mai vissuto, prima d'ora.-
Rimasi in silenzio, colpito nella mente come una freccia scoccata da un arco. Non avevo idea, al momento, di cosa potesse significare...l'avrei scoperto solo molto tempo dopo.
 
grazie a tutti! Appena ho un attimo di tempo vado avanti ;)


in realtà è molto più semplice di quello che sembra. E' solo questione di catturare i dettagli chiave!
Hai pienamente ragione: osservare, studiare, cogliere l'attimo giusto e farsi avanti. Il gioco della conquista e della seduzione, ormai, è desueto. Quasi una rarità. Talmente andiamo veloci che non vogliamo più perdere tempo, vogliamo tutto e subito. Ci può stare, ci mancherebbe....ma sempre, no. Altrimenti la seduzione ed il saper sedurre, si estingue.
 
wow avevo perso questo racconto e devo dire che è veramente molto bello, ben scritto, scorre benissimo, e la storia è veramente intrigante!
peccato che l'autore abbia smesso di scrivere perché merita veramente!
 
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