Premessa. I nomi sono fittizi, i dialoghi leggermente romanzati. Non chiedete foto, non ne mando.
Dalle mie parti non è semplice conoscere una ragazza. Le donne, qui, non solo non danno confidenza, ma preferiscono fuggire dalla piccola realtà del paese per raggiungere l'habitat cittadino, a circa un'ora di strada. Ora, non che non abbia voglia di inseguire l'acre odore della vagina, ma mi rimane difficile con il lavoro e quant'altro. Mi occupo di consegne e la maggior parte del mio tempo lo impiego a guidare un mezzo, che sia un'auto, un furgone, un camion. Mettetevi nei miei panni: è vero che per la figa uno farebbe di tutto, ma sinceramente quando ho un attimo libero tendo a recuperare le energie e a spalmarmi sul divano. Quando succede ho un passatempo che mi consente di imbastire e tessere le trame dei futuri incontri. In una parola...Instagram. Non so perché, ma risulto piacevole alle donne. Direte voi, che c'è di male...il punto è che non ho nemmeno una foto mia, nel profilo. Avrò al massimo cinque o sei foto esclusivamente di paesaggi, senza nemmeno una frase strappamutande. Semplicemente dedico molta attenzione ai dettagli e scelgo i miei bersagli, riuscendo a capire quali donne sono più disponibili e quali invece sono obiettivi impossibili. Ho ricevuto anche tanti no, ovviamente, ma altrettanti sì. E quello che voglio narrarvi è il rapporto che si è creato tra me e uno di questi sì.
Si chiamava Silvia e l'ho conosciuta con un paio di like e altrettanti commenti alle sue foto di tramonti. C'era qualche foto di lei che avevo chiaramente notato, ma che avevo ignorato appositamente: mi serviva una scusa per parlarle, e presentarsi facendole i complimenti per il suo davanzale o per il suo sguardo mi sembrava banale e fuori luogo. Scelsi perciò la via artistica: presi la palla al balzo quando inserì una storia con uno scorcio mozzafiato ed una canzone a tema, riuscendo così a catturare la sua attenzione. Iniziammo a parlare del più e del meno e mi resi conto che discutere con lei era davvero piacevole. Deve aver avuto la stessa sensazione anche lei, perché quando la invitai a cena non esitò ad accettare. E non glielo chiesi, ovviamente: non le lasciai scelta. Domandarglielo mi avrebbe fatto perdere tempo e l'avrebbe messa sulla difensiva. Si sa, le donne tendono sempre a temporeggiare quando chiediamo di uscire, motivo per cui ho imparato a non chiederlo più. "Sei invitata a cena domani sera" sono le sei parole che mi hanno fatto scopare più di qualsiasi altra cosa. Comunque, l'appuntamento era ormai fissato. Le dissi che avrei potuto cucinare per lei ma che non potevo ospitarla in quanto condividevo (e condivido tuttora) un appartamento con due cari amici, cosa che le fece subito abbassare qualsiasi barriera. "vieni da me", disse...ed io non aspettavo altro.
"Vieni per le 21, il tempo di portare mia figlia da un'amica." mi disse quella sera. Silvia all'epoca aveva quarantanni, una figlia di diciannove e divorziata da cinque. Decidemmo entrambi di non mostrarci troppo, sulla chat di instagram. E' vero, lei aveva qualche foto di sé, ma erano foto in cui si vede tutto e niente, giochi di ombre e penombre, che lasciano spazio più all'immaginazione che alla vista. Nel tragitto che mi divideva da lei, all'incirca un quarto d'ora di strada, fantasticai con la mente. Avevo raccattato le informazioni che lei mi aveva dato e le avevo mescolate alla rinfusa per cercare di stamparmi una pericolosa foto in testa di come poteva essere, ma non riuscii a metterla per bene a fuoco, cosa che da una parte mi infastidiva, dall'altra aumentava l'eccitazione per la sorpresa. Alla fine arrivai e lei era già sull'arco della porta. Fuori era notte e lei era illuminata solamente dalla luce di una lampadina che svettava dall'uscio. Aveva il maglione bianco, scollato, pieno del suo grosso seno che premeva sulla lana. Un paio di jeans neri faticavano a trattenere un ampio sedere e le cosce, belle grandi ma sode, gonfiavano la stoffa dei pantaloni e reclamavano libertà. La guardai in volto e sorrisi, lei fece lo stesso. Occhi che tendevano al grigio, labbra rosate e capelli corvini, il volto dalla pelle vagamente arrossata per via del calore della sua abitazione. Mi avvicinai, l'abbracciai e ci scambiammo i classici baci sulla guancia. Non riuscii a capire l'aroma del suo profumo, ma non lo dimenticherò mai, motivo per cui potrei riconoscerla anche tra una folla di centinaia di persone.
-Benvenuto!- mi disse con un filo di voce mentre anche lei stringeva le sue mani sulla mia schiena. Mi invitò ad entrare e venni accolto dal crepitare del fuoco nel camino, dal profumo di legna messa ad ardere e dal tepore della sua abitazione.
-Vieni!- mi fece strada verso la cucina.
-Che c'è, vuoi mettermi subito a lavoro?- chiesi io in un mezzo sorriso.
Ricambiò mentre mi toglievo il giubbetto e mi divertii ad intercettare il suo sguardo che si fissava sulle mie braccia. Sono sempre stato ben messo, fisicamente, ma da quando ho iniziato questo lavoro devo dire che le braccia, le spalle e la schiena hanno raddoppiato il loro volume. Mi trovo spesso a staccare pacchi pesanti e gravi di ogni genere, e i risultati, nel lungo periodo, si vedono. Comunque, feci finta di nulla e mi misi a cucinare.
A tavola parlammo poco, non sono abituato a discutere davanti ad un piatto. Dovetti spiegarglielo perché sembrava aver perso quel suo brio iniziale quando mi vide in silenzio. Mi sorrise e mi disse di non preoccuparmi e aggiunse che avremmo parlato successivamente.
Prendemmo un calice di vino a testa e ci spostammo sul divano, di fianco, davanti al camino.
-Devo farti una domanda.- mi disse lei ad una certa.
-Dimmi pure.- poggiai il bicchiere sul piccolo tavolino che avevamo di fronte ai piedi.
-Perché ti interessi ad una vecchia come me? Voglio dire, hai ventisette anni, puoi avere chiunque.-
-Vecchia è una brutta parola, non trovi? Per me non sei così vecchia, anzi.-
Non rispose. Mi fissava con quegli occhi pieni di nostalgia degli anni andati, ma altrettanto colmi di quella voglia di riscatto per una vita che non era andata come voleva. Le spiegai che non avevo troppa voglia di perder tempo con quelle della mia età: cercano altro, cercano il riccone di turno con la macchinona, tutti belli agghindati. Io mi sentivo più vecchio di lei, all'epoca: non ero tagliato per le discoteche, per uscire il sabato sera, per star dietro alla vita mondana delle ragazze coetanee. Volevo qualcosa di più profondo, qualcosa che andasse oltre l'aspetto fisico, che andasse oltre l'amore o una semplice scopata.
-Per quanto...devo ammettere che tu mi piaci molto anche dal punto di vista estetico.- aggiunsi in un mezzo sorriso beffardo.
-Ma dai, sono in sovrappeso!-
-Dipende dai punti di vista. Dal mio no.- commentai tornando a bere.
Di nuovo rimase in silenzio, il bicchiere tra le mani, poggiata sullo schienale del divano con il suo fianco destro, così da potermi studiare meglio. Mi sentivo sotto osservazione, ma mi piaceva da morire. Non feci in tempo ad aprir bocca che lei si era accoccolata con la testa sulla mia spalla, ed i capelli finivano poco sotto alle mie labbra, tra i peli ruvidi della mia barba. Non ci pensai due volte e le schioccai un bacio sulla nuca...lei alzò il viso e lo avvicinò al mio...ed in un attimo le nostre labbra si toccarono. un bacio casto, dapprima, poi sempre più vizioso, voglioso l'uno dell'altro. Le nostre bocche si schiusero e le lingue s'intrecciarono in un lungo abbraccio e le mani iniziavano a studiare i corpi altrui. Passò appena una manciata di secondi prima di trovarmi le sue mani sui fianchi, e prima che io cercassi i suoi con le mie. Inutile dire che all'istante il cazzo mi si gonfiò nei jeans per tutta la situazione: lei era la mia prima milf e la serata, con il fuoco, la cena, il vino, era stata davvero piacevole. Dio solo sa quanto avrei voluto riempirla della mia carne, quella sera...ma dovrò deludervi dicendo che ciò non accadde. Lei mi salì sopra ed iniziò a strofinarsi voluttuosamente sul mio vistoso rigonfiamento mentre continuavamo a baciarci come ragazzini di quindici anni carichi di ormoni. Le mie dita, ormai, avevano studiato ogni centimentro della sua pelle, sotto quel maglione che, forse per un gioco perverso di sguardi, avevo deciso di non toglierle. Le tastavo le tette da sopra il reggiseno e solo allora mi accorsi, pur senza guardarle, della loro dimensione. Erano enormi e a giudicare dai poderosi bottoncini che stuzzicavo oltre la stoffa con le mie dita, doveva avere dei capezzoli grossi come la falange del mio dito. Ero più ormoni che carne, in quel momento. Le ficcavo la lingua nella bocca, poi cercavo il suo collo e la mordevo, succhiavvo il lobo del suo orecchi e la sentivo gemere mentre alzava il volto verso il soffitto. E non la smetteva, non la smetteva mai di strofinarsi sul mio cazzo, nonostante i pantaloni che non accennava a sbottonare. Presi l'iniziativa e ci provai io, ma lei mi diede un colpetto sul palmo della mano, abbassò la faccia vicino al mio volto e mi sussurrò una sola parola, carica di malizia.
-Scordatelo.- disse con un filo di voce. Ed io mi arrapai ancor di più. Lei mi graffiava il petto da sopra la maglia, le sue unghie penetravano poi nella carne dei miei bicipiti venosi e i suoi denti ricambiavano sul mio collo il trattamento che io avevo riservato al suo. Succhiava con quelle labbra la mia pelle, la mia carne, la mia anima...e non lo faceva dal cazzo. Avrebbe voluto farlo perché ad una certa scivolò davanti a me e si mise in ginocchio con la faccia tra le mie gambe. Le mano sinistra giocò con il mio corpo per un altro pò fino a giungere alla patta dei miei pantaloni...e gliel'avrei fatto svettare davanti al muso, le avrei infilato le palle in bocca e dio solo sa cos'altro le avrei fatto quella sera...ma ebbi come un moto d'orgoglio. O fu più che altro un gioco. Colpì la sua mano come lei aveva fatto con la mia, scossi la testa e sorrisi beffardo.
-Scordatelo.- risposi.
Non so ancora come io abbia fatto a resistere. Non so nemmeno perché decisi di resistere, a dire il vero. E non so neeanche quanto ancora sarebbe durato quel perverso gioco...poi il suo cellulare squillò e noi tornammo alla realtà: erano le due ed era in ritardo per sua figlia.
Ci salutammo sull'arco della porta con un abbraccio e un bacio molto poco casto, con l'intenzione di rivederci qualche giorno dopo.
Ce ne sono molte di cose da raccontare, con Silvia...e se vi è piaciuto potrò andare avanti. Quella notte, comunque, una volta nella mia camera, dovetti spararmi due seghe per poter calmare i miei bollori...
Dalle mie parti non è semplice conoscere una ragazza. Le donne, qui, non solo non danno confidenza, ma preferiscono fuggire dalla piccola realtà del paese per raggiungere l'habitat cittadino, a circa un'ora di strada. Ora, non che non abbia voglia di inseguire l'acre odore della vagina, ma mi rimane difficile con il lavoro e quant'altro. Mi occupo di consegne e la maggior parte del mio tempo lo impiego a guidare un mezzo, che sia un'auto, un furgone, un camion. Mettetevi nei miei panni: è vero che per la figa uno farebbe di tutto, ma sinceramente quando ho un attimo libero tendo a recuperare le energie e a spalmarmi sul divano. Quando succede ho un passatempo che mi consente di imbastire e tessere le trame dei futuri incontri. In una parola...Instagram. Non so perché, ma risulto piacevole alle donne. Direte voi, che c'è di male...il punto è che non ho nemmeno una foto mia, nel profilo. Avrò al massimo cinque o sei foto esclusivamente di paesaggi, senza nemmeno una frase strappamutande. Semplicemente dedico molta attenzione ai dettagli e scelgo i miei bersagli, riuscendo a capire quali donne sono più disponibili e quali invece sono obiettivi impossibili. Ho ricevuto anche tanti no, ovviamente, ma altrettanti sì. E quello che voglio narrarvi è il rapporto che si è creato tra me e uno di questi sì.
Si chiamava Silvia e l'ho conosciuta con un paio di like e altrettanti commenti alle sue foto di tramonti. C'era qualche foto di lei che avevo chiaramente notato, ma che avevo ignorato appositamente: mi serviva una scusa per parlarle, e presentarsi facendole i complimenti per il suo davanzale o per il suo sguardo mi sembrava banale e fuori luogo. Scelsi perciò la via artistica: presi la palla al balzo quando inserì una storia con uno scorcio mozzafiato ed una canzone a tema, riuscendo così a catturare la sua attenzione. Iniziammo a parlare del più e del meno e mi resi conto che discutere con lei era davvero piacevole. Deve aver avuto la stessa sensazione anche lei, perché quando la invitai a cena non esitò ad accettare. E non glielo chiesi, ovviamente: non le lasciai scelta. Domandarglielo mi avrebbe fatto perdere tempo e l'avrebbe messa sulla difensiva. Si sa, le donne tendono sempre a temporeggiare quando chiediamo di uscire, motivo per cui ho imparato a non chiederlo più. "Sei invitata a cena domani sera" sono le sei parole che mi hanno fatto scopare più di qualsiasi altra cosa. Comunque, l'appuntamento era ormai fissato. Le dissi che avrei potuto cucinare per lei ma che non potevo ospitarla in quanto condividevo (e condivido tuttora) un appartamento con due cari amici, cosa che le fece subito abbassare qualsiasi barriera. "vieni da me", disse...ed io non aspettavo altro.
"Vieni per le 21, il tempo di portare mia figlia da un'amica." mi disse quella sera. Silvia all'epoca aveva quarantanni, una figlia di diciannove e divorziata da cinque. Decidemmo entrambi di non mostrarci troppo, sulla chat di instagram. E' vero, lei aveva qualche foto di sé, ma erano foto in cui si vede tutto e niente, giochi di ombre e penombre, che lasciano spazio più all'immaginazione che alla vista. Nel tragitto che mi divideva da lei, all'incirca un quarto d'ora di strada, fantasticai con la mente. Avevo raccattato le informazioni che lei mi aveva dato e le avevo mescolate alla rinfusa per cercare di stamparmi una pericolosa foto in testa di come poteva essere, ma non riuscii a metterla per bene a fuoco, cosa che da una parte mi infastidiva, dall'altra aumentava l'eccitazione per la sorpresa. Alla fine arrivai e lei era già sull'arco della porta. Fuori era notte e lei era illuminata solamente dalla luce di una lampadina che svettava dall'uscio. Aveva il maglione bianco, scollato, pieno del suo grosso seno che premeva sulla lana. Un paio di jeans neri faticavano a trattenere un ampio sedere e le cosce, belle grandi ma sode, gonfiavano la stoffa dei pantaloni e reclamavano libertà. La guardai in volto e sorrisi, lei fece lo stesso. Occhi che tendevano al grigio, labbra rosate e capelli corvini, il volto dalla pelle vagamente arrossata per via del calore della sua abitazione. Mi avvicinai, l'abbracciai e ci scambiammo i classici baci sulla guancia. Non riuscii a capire l'aroma del suo profumo, ma non lo dimenticherò mai, motivo per cui potrei riconoscerla anche tra una folla di centinaia di persone.
-Benvenuto!- mi disse con un filo di voce mentre anche lei stringeva le sue mani sulla mia schiena. Mi invitò ad entrare e venni accolto dal crepitare del fuoco nel camino, dal profumo di legna messa ad ardere e dal tepore della sua abitazione.
-Vieni!- mi fece strada verso la cucina.
-Che c'è, vuoi mettermi subito a lavoro?- chiesi io in un mezzo sorriso.
Ricambiò mentre mi toglievo il giubbetto e mi divertii ad intercettare il suo sguardo che si fissava sulle mie braccia. Sono sempre stato ben messo, fisicamente, ma da quando ho iniziato questo lavoro devo dire che le braccia, le spalle e la schiena hanno raddoppiato il loro volume. Mi trovo spesso a staccare pacchi pesanti e gravi di ogni genere, e i risultati, nel lungo periodo, si vedono. Comunque, feci finta di nulla e mi misi a cucinare.
A tavola parlammo poco, non sono abituato a discutere davanti ad un piatto. Dovetti spiegarglielo perché sembrava aver perso quel suo brio iniziale quando mi vide in silenzio. Mi sorrise e mi disse di non preoccuparmi e aggiunse che avremmo parlato successivamente.
Prendemmo un calice di vino a testa e ci spostammo sul divano, di fianco, davanti al camino.
-Devo farti una domanda.- mi disse lei ad una certa.
-Dimmi pure.- poggiai il bicchiere sul piccolo tavolino che avevamo di fronte ai piedi.
-Perché ti interessi ad una vecchia come me? Voglio dire, hai ventisette anni, puoi avere chiunque.-
-Vecchia è una brutta parola, non trovi? Per me non sei così vecchia, anzi.-
Non rispose. Mi fissava con quegli occhi pieni di nostalgia degli anni andati, ma altrettanto colmi di quella voglia di riscatto per una vita che non era andata come voleva. Le spiegai che non avevo troppa voglia di perder tempo con quelle della mia età: cercano altro, cercano il riccone di turno con la macchinona, tutti belli agghindati. Io mi sentivo più vecchio di lei, all'epoca: non ero tagliato per le discoteche, per uscire il sabato sera, per star dietro alla vita mondana delle ragazze coetanee. Volevo qualcosa di più profondo, qualcosa che andasse oltre l'aspetto fisico, che andasse oltre l'amore o una semplice scopata.
-Per quanto...devo ammettere che tu mi piaci molto anche dal punto di vista estetico.- aggiunsi in un mezzo sorriso beffardo.
-Ma dai, sono in sovrappeso!-
-Dipende dai punti di vista. Dal mio no.- commentai tornando a bere.
Di nuovo rimase in silenzio, il bicchiere tra le mani, poggiata sullo schienale del divano con il suo fianco destro, così da potermi studiare meglio. Mi sentivo sotto osservazione, ma mi piaceva da morire. Non feci in tempo ad aprir bocca che lei si era accoccolata con la testa sulla mia spalla, ed i capelli finivano poco sotto alle mie labbra, tra i peli ruvidi della mia barba. Non ci pensai due volte e le schioccai un bacio sulla nuca...lei alzò il viso e lo avvicinò al mio...ed in un attimo le nostre labbra si toccarono. un bacio casto, dapprima, poi sempre più vizioso, voglioso l'uno dell'altro. Le nostre bocche si schiusero e le lingue s'intrecciarono in un lungo abbraccio e le mani iniziavano a studiare i corpi altrui. Passò appena una manciata di secondi prima di trovarmi le sue mani sui fianchi, e prima che io cercassi i suoi con le mie. Inutile dire che all'istante il cazzo mi si gonfiò nei jeans per tutta la situazione: lei era la mia prima milf e la serata, con il fuoco, la cena, il vino, era stata davvero piacevole. Dio solo sa quanto avrei voluto riempirla della mia carne, quella sera...ma dovrò deludervi dicendo che ciò non accadde. Lei mi salì sopra ed iniziò a strofinarsi voluttuosamente sul mio vistoso rigonfiamento mentre continuavamo a baciarci come ragazzini di quindici anni carichi di ormoni. Le mie dita, ormai, avevano studiato ogni centimentro della sua pelle, sotto quel maglione che, forse per un gioco perverso di sguardi, avevo deciso di non toglierle. Le tastavo le tette da sopra il reggiseno e solo allora mi accorsi, pur senza guardarle, della loro dimensione. Erano enormi e a giudicare dai poderosi bottoncini che stuzzicavo oltre la stoffa con le mie dita, doveva avere dei capezzoli grossi come la falange del mio dito. Ero più ormoni che carne, in quel momento. Le ficcavo la lingua nella bocca, poi cercavo il suo collo e la mordevo, succhiavvo il lobo del suo orecchi e la sentivo gemere mentre alzava il volto verso il soffitto. E non la smetteva, non la smetteva mai di strofinarsi sul mio cazzo, nonostante i pantaloni che non accennava a sbottonare. Presi l'iniziativa e ci provai io, ma lei mi diede un colpetto sul palmo della mano, abbassò la faccia vicino al mio volto e mi sussurrò una sola parola, carica di malizia.
-Scordatelo.- disse con un filo di voce. Ed io mi arrapai ancor di più. Lei mi graffiava il petto da sopra la maglia, le sue unghie penetravano poi nella carne dei miei bicipiti venosi e i suoi denti ricambiavano sul mio collo il trattamento che io avevo riservato al suo. Succhiava con quelle labbra la mia pelle, la mia carne, la mia anima...e non lo faceva dal cazzo. Avrebbe voluto farlo perché ad una certa scivolò davanti a me e si mise in ginocchio con la faccia tra le mie gambe. Le mano sinistra giocò con il mio corpo per un altro pò fino a giungere alla patta dei miei pantaloni...e gliel'avrei fatto svettare davanti al muso, le avrei infilato le palle in bocca e dio solo sa cos'altro le avrei fatto quella sera...ma ebbi come un moto d'orgoglio. O fu più che altro un gioco. Colpì la sua mano come lei aveva fatto con la mia, scossi la testa e sorrisi beffardo.
-Scordatelo.- risposi.
Non so ancora come io abbia fatto a resistere. Non so nemmeno perché decisi di resistere, a dire il vero. E non so neeanche quanto ancora sarebbe durato quel perverso gioco...poi il suo cellulare squillò e noi tornammo alla realtà: erano le due ed era in ritardo per sua figlia.
Ci salutammo sull'arco della porta con un abbraccio e un bacio molto poco casto, con l'intenzione di rivederci qualche giorno dopo.
Ce ne sono molte di cose da raccontare, con Silvia...e se vi è piaciuto potrò andare avanti. Quella notte, comunque, una volta nella mia camera, dovetti spararmi due seghe per poter calmare i miei bollori...
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