Esperienza reale Racconto di fantasia Utkata Konasana – La Dea

nomancries

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Ciao a tutti!
E' da un po' che conservo questo piccolo racconto, che inizialmente voleva essere un mini romanzo, o non so nemmeno io cosa.
Non l'avevo condiviso con nessuno, è work in progress ed avere dei feedback mi aiuterebbe a capire se continuare, ed eventualmente in che direzione andare.
La storia è autobiografica in parte, romanzata in tanta altra parte.
Racconta del rapporto con una cognata. Pubblicherò a piccoli capitoli se può farvi piacere.
Seguono i primi due!
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Capitolo 1 – La conoscenza​

“Sei figlia unica?”
“No, ho una sorella”


Così, per sommi capi, ho scoperto di avere una cognata, o almeno una presunta futura tale. La ricerca su Instagram, Facebook e affini è stata immediata, perché capiamoci bene, prima di essere fidanzati (A volte anche dopo) ci si spinge tanto al largo quanto si può, e l’occasione di dare una sbirciatina ad una figliuola non ce la si nega mai. Vista e piaciuta, come la regola degli acquisti in negozio, passai avanti, non era di mio interesse mia “cognata”.
Due anni più grande di me, mezza svampita, probabilmente pazza per quel che ne capivo io di pazzia, aveva lasciato la casa da piccola per andare all’estero a studiare medicina, aveva la passione per lo Yoga, da come ne sentivo parlare era una Naif, di quelle che pensa che l’incenso al sapore di mirtillo guarisce qualche malattia.

Ho vissuto i miei primi 4 anni di fidanzamento senza mai incontrarla, senza mai nemmeno averne la necessità in realtà, vista solo in foto, niente di ché, auguri per le festività dati tramite Whatsapp, attraverso la sorella, fine ad un ferragosto rovente in cui si incrociarono le ferie di tutti in modo da poterci finalmente presentare con una bella stretta di mano in una casa al mare fittata apposta per l’occasione, una tipica rimpatriata di famiglia in cui io ero l’ospite.

“Ah, finalmente! Piacere di conoscerti”
“Piacere!”
Una stretta di mano molto rapida, un sorriso di circostanza (Il mio), il suo invece molto sincero, lasciava intravedere uno smiley, tipico piercing che non mi farei nemmeno tra 30 anni sotto tortura, occhi dolci, fisico snello e atletico che ci si aspetta da un’istruttrice di Yoga, capelli lunghi e mossi, bassa statura e tante valige da portare dentro, perché si, va bene Naif, ma nemmeno così tanto, 4 valige per una settimana di soggiorno, a posteriori, sembrano un po’ tante.
“Le porto io tranquilla!”.
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Capitolo 2 – La scoperta​

Bastarono pochi botta e risposta, e pochissime “origliate” per confermarmi tutto ciò che immaginavo in precedenza, ovvero la tesi della svampita pazza, non che mi dispiacesse avere una cognata che era contro la tachipirina, anzi, non m’importava affatto.
Mi colpì molto però una sorta di malinconia che lessi nei suoi occhi dopo 24 ore che ormai era lì, malinconia che era dovuta, a quanto ci disse, al fatto che da poco era stata abbandonata dal suo ormai ex fidanzato, a detta di mio suocero “Finalmente”, trapelava qua e là dai racconti che lui era un tossicodipendente, anzi lo è ancora ed erano tutti felici che si fossero lasciati, tranne ovviamente lei, accecata dall’amore astrale che li congiungeva e bla e bla e bla.
Nonostante quella malinconia che avvertivo, riusciva ad essere molto attiva e felice a tutte le ore del giorno salvo intristirsi la notte, sbattendo i suoi occhi grandi su quello schermo del telefono in cerca, forse, di qualche segno di vita da parte della sua astrale metà, che magari in quel momento era a bucarsi su un marciapiede per l’idea che me n’ero fatto.
Su un marciapiede non c’eravamo sicuramente noi, perché al mattino, ancora stanchi dalle nottate di sesso sfrenato di coppia, andavamo con solerzia al mare, tutti assieme, mamma, padre, figlia, figlia e io, sorridendoci l’un l’altro consapevoli che la notte prima c’era stato almeno un coito tra noi.
Il mare era bellissimo, ma non vorrei soffermarmi su quello, perché che il mare è bello si sa, quello che non sapevo però è che mia cognata era meglio del mare.
Quando sollevò quel vestitino per rimanere in costume, fece rimanere me di pietra, per il momento solo metaforicamente.
Fisico snello, asciutto, non si vedeva un filo di grasso sulla pancia, mentre le gambe erano belle toniche e formose, bacino largo, che gli dei antichi avrebbero venerato come oasi di fertilità, seno sodo, massimo una terza, ma che su un busto magro dal quale si intravedevano le costole, faceva la figura di una quinta.
Non so spiegarvelo al momento meglio di così, ma mi ha eccitato così tanto pensare di strizzargli quelle splendide tette sode che rimasi coi piedi sulla sabbia cocente senza accorgermene per più tempo del dovuto. È stata la mezza ustione probabilmente a farmi realizzare che volevo possedere mia cognata.
 

Capitolo 3 – Chi fa da sé​

Non fu una bellissima giornata al mare, o meglio lo fu, ma non potendo dare troppo nell’occhio ho dovuto per forza dare a parlare ai miei suoceri, fare i tuffi, e le nuotatine amorose con la mia lei, non potevo mica dire a tutti “Per favore lasciatemi in pace, vorrei solo stare qui tutta la giornata a farmi le seghe sull’altra vostra figlia mentre prende il sole con quel culone bello sodo all’aria e venirle addosso”; no, un po’ troppo anche per me. E quindi “Quanto è bello oggi il mare – Quanto è calmo oggi il mare – Quanto caldo fa oggi” mentre volevo soltanto dire “Quanto glielo metterei in bocca a quella zoccola”, così dal nulla, che poi zoccola non era, cioè non mi sembrava tale, e nemmeno mi sembrava una tipa che accettava sesso violento, era una ragazza così dolce e calma, ma perché faccio sempre così? Chissà.
Fortunatamente ad ora di pranzo era d’obbligo tornare in casa perché a nessuno piaceva mangiare cibo e sabbia, a me in primis che insistevo per rincasare e mangiare qualcosa da seduto a tavola e non con il culo bagnato; quindi durante il tragitto mentre tutto sudato trasportavo il materiale da spiaggia ho avuto modo di non pensare a niente di quello a cui stavo in precedenza pensando.
Anche questa pausa però è durata poco, perché s’apprestava il momento che più attendevo, la doccia.
La doccia rappresentava due cose per me, la prima è la liberazione dalla sabbia, la seconda è la liberazione dalla libidine, per parlare tra noi comuni mortali, era il posto in cui ho facevo sesso con la mia ragazza se c’erano i presupposti, o in cui mi facevo una grande sega sulla ragazza più bella che avevo visto nelle 4 ore di spiaggia. Inutile dirlo, oggi toccava a mia cognata.
Avete presente quei video porno in cui un tizio sotto la doccia viene scoperto a segarsi, e chi lo scopre si unisce a lui? Sogno questo da quando ho più o meno 14 anni, e sono 10 anni che mi chiedo come possa mai accadere, chi potrebbe mai entrare in doccia mentre sei a casa tua? Neanche una stupida, ammesso che all’interno di casa tua sia presente qualcuno di sconosciuto, entra in bagno sebbene senta il rumore della doccia; o almeno così funziona al paese mio.
Il mio paese quel giorno però mi regalò una sorta di quelle che dalle mie parti si chiama “gioia”, ovvero, il bagno di servizio che utilizzavamo per fare la doccia in quella casa vacanze, oltre ad una porta che ovviamente nessuno aprirebbe sapendo che sono dentro, possedeva una piccola finestra, la quale, se aperta anche poco, dava sul giardino, esattamente nel punto in cui c’era il raggio di sole più bello della residenza, neanche a farlo apposta, il posto dove lei faceva il suo yoga. Quella finestrina era la mia porta sul Paradiso, una sega sotto la doccia mentre la guardavo, senza la possibilità che lei mi notasse, sarebbe stata la sega perfetta. Fu per questo che quella volta andai a fare la doccia dopo mangiato, tra lo stupore di tutti “Ma perché oggi mangi tutto bagnato”, ma fatevi i fatti vostri; dopo mangiato so che lei si allena mezz’oretta, ieri lo fece e DEVE farlo anche oggi, ne sono sicuro.
Scattata l’ora X mi apprestai ad entrare in doccia, aprii il soffione che mi diede 5 secondi di ghiaccio e poi 5 secondi di lava prima di avere una temperatura da comune mortale, e cominciai a sciacquarmi, facendomi scorrere l’acqua si tutto il corpo, ma senza strofinare ancora nulla, osservando il mio pene non eretto che gocciolava l’acqua che scorreva. La finestrina era aperta e lei non arrivava, scoraggiato decisi di iniziare almeno ad insaponarmi, e fu proprio mentre prendevo il sapone che sentii il tappetino sbattere all’aria per poi poggiarsi a terra: stava iniziando.
Il tempo di vederla in yoga pants, non so come, il mio cazzo era già dritto, non so nemmeno se fisicamente fosse possibile una cosa del genere, sarà che non è molto grande quindi ci vuole poco sangue, ma comunque va bene così, iniziai a fare su e giù con la mia mano insaponata, mentre con l’altra mi sorreggevo al muro di mattonelle, e la guardavo. Non stava facendo nessuna posizione strana, sembrava stesse meditando in realtà, ma non mi interessava affatto, l’obiettivo della mia sega era l’idea di lei, il fatto di voler far sopruso di lei, quindi poteva stare anche soltanto ferma ed in piedi e mi sarei eccitato.
Proprio mentre stavo arrivando al culmine della mia sega, nel momento in cui con gli occhi chiusi immagini dove le stai venendo, il destino mi ha giocato uno scherzo che ancora mia chiedo se io volevo o non volevo.
Un soffio di vento, uno solo, secco e forte, apre più del dovuto quella finestra che avevo lasciato socchiusa al punto giusto, facendo anche un rumore cigolante, che attirò l’attenzione dal giardino.
Aperta più del dovuto, quella finestra non era più un senso unico sul giardino, ma era un doppio senso giardino-doccia, da fuori si vedeva dentro e viceversa, il rumore l’aveva attirata e lei s’era girata.
In un attimo avevo i suoi occhi che mi fissavano increduli, io ancora lì, col cazzo in mano, stavo ormai per venire e non avevo nessun modo di fermarmi, l’orgasmo era partito, e così partì lo sperma, che cominciò a schizzare mentre io facevo fatica a non contorcermi.

Sono stati probabilmente 3 o 4 secondi.
Ma in quei 3 o 4 secondi, nell’ordine, mia cognata mi ha visto nudo, mi ha visto masturbarmi, mi ha visto sborrare, ha preso il tappetino da yoga, ed è tornata in casa.
 

Capitolo 4 – Il silenzio​

Come mi aspettavo, nessuno ne parlò.
La mia vita continuò normale, così come la sua nei seguenti 5 giorni di vacanza.
Io continuare ad intrattenere i miei normali rapporti con tutti loro, ed i miei soliti rapporti intimi con la mia ragazza, e lei ugualmente non scombussolò la sua routine, o forse fece attenzione a non fare Yoga mentre io mi facevo la doccia, ma questo non posso saperlo, perché non ci feci caso.
Molti sorrisi, molte frasi di circostanza, molti silenzi, fino all’ultimo giorno, in cui, prima di rimetterci tutti nelle proprie macchine per tornare alle proprie case, ci salutammo, e lei, abbracciandomi, mi disse:

“Mi ha fatto piacere conoscerti, ti voglio bene”

Non ne capii il senso, fosse stata una frase di circostanza, avrebbe evitato il ti voglio bene.
Fosse stato vero, non capisco perché volermi bene se non abbiamo approfondito nessun rapporto nei 7 giorni; e soprattutto, perché volere bene ad una persona che si stava palesemente masturbando sulla sorella della propria fidanzata? Forse non mi aveva visto ed io mi sono inpanicato per il nulla? Forse mi aveva visto ed aveva pensato di aver assistito per sbaglio ad un mio momento intimo di cui lei però non è né protagonista né co-protagonista? Forse, fatto sta che l’unica cosa che mi uscì dalla bocca fu:

“Ti voglio bene anche io”, poi stetti zitto, mi misi in macchina e tornai a casa mia, da solo.
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Capitolo 5 – Ossessione​

Ebbi molto tempo per ripensare a mia cognata, fra una cosa e l’altra della mia vita, forse troppo.
Avevo una vita felicissima, una vita sessuale intensa, un amore grande al mio fianco, e tutto quello che potevo desiderare; mi sentivo completo ed appagato, non cercavo altro.
Ma ogni volta, che dovevo masturbarmi, lo facevo su di lei.
Come la più intrinseca delle ossessioni, appena mi sentivo leggermente arrapato ed ero solo, il mio primo pensiero era di stare lì, pensare a lei, e a tutti i modi violenti in cui potevo abusare di lei e del suo corpo, per poi finalmente liberare le mie palle di litri e litri di sborra mese dopo mese, e tornare ogni singola volta alla mia vita sorridente da persona buona ed insospettabile.
Non mi restava di lei che il suo ricordo in costume, perché la pazza era poco social, nessuna foto in costume, nessuna foto nemmeno a figura intera in realtà.
Dovevo sfogare tutta la mia frustrazione sulle sue foto sorridenti in primo piano, e sul ricordo di quel suo culone al sole, finitura di un corpo esile e perfetto come guaina per il mio cazzo.

Andai avanti per mesi e mesi in questo modo, a tratti senza accorgermene, senza pensare nemmeno a quanto potesse essere sbagliato nei confronti della mia compagna, tanto che ormai era diventata routine per me. Questa routine fu rotta da un solo elemento, che gli diede più che un freno, una spinta.

Un giorno, la Dea bendata volle che entrassi in possesso di un tablet “a cui dare un’occhiata” a casa di mia suocera, per metterlo apposto, per farglielo riusare, per vedere le sue ricette di cucina, per fare le foto al cane. Su quel tablet, era presente l’account di sua figlia, con mia grande sorpresa, account ancora sincronizzato e funzionante: avevo tra le mie mani la sua intera cronologia, ma soprattutto le sue password salvate proprio come la più svampita delle persone che salva tutto sul Browser.

Ci misi 15 minuti a resettare tutto, ma ce ne misi più di 120 a girare fra tutte le sue cose alla ricerca più disperata di qualcosa su cui segarmi. Mail, Backup, Chat di ogni genere, l’attesa divenne sempre più trepidante, andavo sempre più di fretta finché non mi sono imbattuto ad una conversazione Facebook tra lei e quello che credo essere un suo ex ragazzo di quando aveva 18 anni, in cui a seguito di una richiesta abbastanza esplicita, lei, finalmente, gli mandò una foto delle tette, in cui si vedeva anche il suo bel faccino sorridente, e un gran bella foto del culo, fatta male perché l’angolazione non era delle migliori, ma pur sempre una foto del culo.

Non so il suo ragazzo per quanto tempo si è segato su quelle foto, ma posso dire con assoluta certezza che io ci ho perso la vista per più di 4 mesi, ogni volta che mi segavo come un forsennato guardando quelle foto che avevo salvato in un mio archivio. Quelle sue belle tette sode, rotonde, con i capezzoli turgidi dal freddo e dall’eccitazione di averle mandate al proprio fidanzato. Quel suo grande culone rotondo e grosso, da prendere a schiaffi. Mi segavo con foga, guardando quel suo sorriso innocente e pensando nella mia mente “Si puttana, prendimelo in bocca, si puttana ti sborro in culo”. Era diventata la mia passione proibita.
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Capitolo 6 – La visita​

Prima o poi una svolta al loop frustrante fatto di seghe su due foto in cui mi ero cacciato, doveva avvenire.
Avvenne proprio l’estate dopo, quando causa lavoro, nessuno di noi potette permettersi di chiudersi in una casa per una settimana, ma l’istinto di voler abbracciare i propri famigliari è troppo forte, ed è anche giusto così no?

E’ stato per questo che alla domanda “Andiamo a trovare mia sorella? Ci ospita a Roma” la mia risposta, nonostante odiassi Roma, nonostante non ci fosse il mare, fu “Certo, perché no”.

Non avrei mai potuto perdermi l’opportunità di stare nella stessa casa con lei, non fosse altro che per rinnovare con immagini fresche il mio archivio mentale di materiale su di lei su cui trastullarmi ogni volta, quello era il mio obiettivo minimo.

Passai i 14 giorni che ci dividevano dalla visita a casa sua, a cercare vari metodi per spiare la gente in casa propria, fui tentato di acquistare microcamere, microspie, micro qualcosa, micro tutto quando poi mi sono reso conto che sarei potuto sfociare nella denuncia, ho smesso di cercare, ma non smesso di immaginare.

Arrivò il giorno della partenza, e in macchina quatto quatto andai a Roma, con un’inaspettata serenità.
Trovai, fortunatamente, subito l’indirizzo ed anche il parcheggio, era la mia giornata fortunata probabilmente. Citofono “Chi è?” “Siamo noi” “Secondo Piano”, salimmo le scale, io a due a due con le valige in mano, mi parai davanti alla porta dopo la mia ragazza per non sembrare troppo frettoloso di arrivare a chi sa che cosa rendendomi conto che la corsa per le scale magari era troppo, e aspettai il mio turno per salutarla; dopo un lungo abbraccio e qualche convenevole con la sorella, toccò a me.

La guardai prima, lei in shorts di tuta e top, senza reggiseno, era in perfetta tenuta estiva da casa.
Gli shorts erano perfetti per delineare la forma delle sue chiappe, e il top, era davvero il top sia per dare idea di quanto fine era il suo busto rispetto al suo sedere, sia perché era così sottile da potermi mostrare la posizione dei capezzoli anche senza il minimo freddo invernale. Ero perfettamente consapevole che tutto questo non era fatto per essere “seducente” con nessuno, perché non era quello il suo obiettivo, tantomeno col fidanzato di sua sorella; era fatto perché mi vedeva come un fratello forse? E si sentiva a suo agio con un abbigliamento da casa anche davanti a noi; si, sicuramente era così.

Questo mi eccitava ancora di più.
 

Capitolo 7 – Quattro chiacchiere​

Andava avanti e indietro frettolosamente per mettere apposto la nostra roba, e io facevo pingpong con la testa come se stessi seguendo una partita di tennis tra Nadal e Federer, ma in realtà le stavo solo fissando il sedere con la nonchalance di chi fa credere che sta cercando di dare una mano.
Ci sedemmo tutti a tavola a bere qualcosa di fresco per poi chiacchierare del più o del meno, di come era andato il viaggio, di come stavano la mamma e il papà, fino a che, finito il momento dei convenevoli, la vidi aprirsi per davvero per la prima volta forse.
Avendo davanti a la sorella, con cui da sempre aveva avuto una grossa confidenza, si lasciò andare a qualche pensiero più profondo sulla sua tormentata storia d’amore che era finita in maniera burrascosa e che ancora si portava dietro qualche strascico da ormai più di un anno; non ne parlò l’estate prima per non preoccupare i genitori, ma ora che eravamo soli lì con lei, fu talmente tanta la sua liberazione da sfociare in pianto. Alla prima lacrima, che subito diventò un singhiozzo, mi avvicinai e le misi una mano sulla spalla, cingendola in un mezzo abbraccio, a cui faceva da altra metà la mia ragazza che la stringeva dall’altra parte mentre lei si teneva il viso tra le mani.
Mentre tutti eravamo preoccupato, sfruttai il momento per guardare più da vicino il suo seno, al di sopra della scollatura, per vedere con un posto in prima fila la forma perfetta delle sue tette sode come due arance.
Bastò mezzo secondo per farmelo venire duro.

Finito il momento tragico, mi trascinai sulla sedia per non mostrare a nessuno la mia emozione; la mia ragazza disse che aveva bisogno di una doccia, ed andò, io e lei rimanemmo invece in cucina, ancora con davanti i bicchieri di thè freddo e lacrime a guardarci imbarazzati.
Non appena la porta del bagno si chiuse, la sua bocca si aprì:

“Non preoccuparti per l’estate scorsa; anzi, mi dispiace di essere capitata lì al posto sbagliato al momento sbagliato, scusa se ti ho messo in imbarazzo”

Lei, si stava scusando con me. Perfetto, quindi è come credevo, lei pensava di essere capitata lì per sbaglio.

“Tranquilla, anzi scusami tu, avrei dovuto chiudere la finestra, non mi aspettavo tirasse vento.”

“Nessun problema, sono cose normali, che capitano, l’importante è che mi assicuri che non ti ho messo in imbarazzo o in una situazione spiacevole.”

“No figurati, anzi, pensavo di aver messo te in imbarazzo o in situazioni spiacevoli, mi dispiace per il brutto spettacolo a cui hai dovuto assistere”

A queste parole però, lei non rispose più, fece un sorriso accennato, e un gesto con la mano, come dire ‘Ma va’, si alzò e andò a prendere altro thè dal frigo.

Per rompere questo nuovo silenzio imbarazzante esclamai soltanto: “Ho bisogno anche io di una doccia”

“E’ tutta tua” rispose lei sorridendo.
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Capitolo 7 – Quattro chiacchiere​

Andava avanti e indietro frettolosamente per mettere apposto la nostra roba, e io facevo pingpong con la testa come se stessi seguendo una partita di tennis tra Nadal e Federer, ma in realtà le stavo solo fissando il sedere con la nonchalance di chi fa credere che sta cercando di dare una mano.
Ci sedemmo tutti a tavola a bere qualcosa di fresco per poi chiacchierare del più o del meno, di come era andato il viaggio, di come stavano la mamma e il papà, fino a che, finito il momento dei convenevoli, la vidi aprirsi per davvero per la prima volta forse.
Avendo davanti a la sorella, con cui da sempre aveva avuto una grossa confidenza, si lasciò andare a qualche pensiero più profondo sulla sua tormentata storia d’amore che era finita in maniera burrascosa e che ancora si portava dietro qualche strascico da ormai più di un anno; non ne parlò l’estate prima per non preoccupare i genitori, ma ora che eravamo soli lì con lei, fu talmente tanta la sua liberazione da sfociare in pianto. Alla prima lacrima, che subito diventò un singhiozzo, mi avvicinai e le misi una mano sulla spalla, cingendola in un mezzo abbraccio, a cui faceva da altra metà la mia ragazza che la stringeva dall’altra parte mentre lei si teneva il viso tra le mani.
Mentre tutti eravamo preoccupato, sfruttai il momento per guardare più da vicino il suo seno, al di sopra della scollatura, per vedere con un posto in prima fila la forma perfetta delle sue tette sode come due arance.
Bastò mezzo secondo per farmelo venire duro.

Finito il momento tragico, mi trascinai sulla sedia per non mostrare a nessuno la mia emozione; la mia ragazza disse che aveva bisogno di una doccia, ed andò, io e lei rimanemmo invece in cucina, ancora con davanti i bicchieri di thè freddo e lacrime a guardarci imbarazzati.
Non appena la porta del bagno si chiuse, la sua bocca si aprì:

“Non preoccuparti per l’estate scorsa; anzi, mi dispiace di essere capitata lì al posto sbagliato al momento sbagliato, scusa se ti ho messo in imbarazzo”

Lei, si stava scusando con me. Perfetto, quindi è come credevo, lei pensava di essere capitata lì per sbaglio.

“Tranquilla, anzi scusami tu, avrei dovuto chiudere la finestra, non mi aspettavo tirasse vento.”

“Nessun problema, sono cose normali, che capitano, l’importante è che mi assicuri che non ti ho messo in imbarazzo o in una situazione spiacevole.”

“No figurati, anzi, pensavo di aver messo te in imbarazzo o in situazioni spiacevoli, mi dispiace per il brutto spettacolo a cui hai dovuto assistere”

A queste parole però, lei non rispose più, fece un sorriso accennato, e un gesto con la mano, come dire ‘Ma va’, si alzò e andò a prendere altro thè dal frigo.

Per rompere questo nuovo silenzio imbarazzante esclamai soltanto: “Ho bisogno anche io di una doccia”

“E’ tutta tua” rispose lei sorridendo.
 
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